Nonostante il tentativo di rilancio di Conte, ragioni profonde spingono verso una crisi di governo. Le elezioni anticipate a settembre darebbero alla Lega – magari assieme ai neofascisti di Meloni – la maggioranza assoluta in Parlamento: perciò Salvini non ha più interesse a mediare con il M5S. D’altronde una “mediazione” vera finora non c’è mai stata; le esigenze di spesa di Lega e M5S si sono piuttosto sommate, a scapito degli investimenti pubblici e della stabilità finanziaria dello Stato: il futuro. Tipico delle politiche populiste sotto ogni latitudine. E non parlatemi di Keynesismo: sul Sole 24 Ore del 29 maggio ho spiegato la differenza. Ma ormai lo spazio finanziario si è esaurito, anche nel breve termine; il contesto politico ed istituzionale dell’eurozona accelera ora la resa dei conti. Perciò la Lega è quasi obbligata a tentare qualcosa di nuovo; e le conviene farlo prima che il campo avversario si riorganizzi.

Il prossimo Parlamento di destra, come minimo, abolirà il reddito di cittadinanza, ridurrà la proporzionalità dell’Irpef, i tagli ai privilegi (anche dei politici), l’equità, la solidarietà, e la normativa ambientalista. L’esatto contrario di quanto auspicato dal M5S. La situazione è surreale, perché solo un anno fa gli elettori hanno affidato al M5S un “progetto-paese” basato su uno sviluppo equo e sostenibile. E non possono aver cambiato radicalmente idea nel giro di un anno. Tra l’altro, nell’attuale Parlamento il M5S ha un vantaggio in termini di seggi che gli permetterebbe di praticare la politica dei due forni, alleandosi con partiti alla sua destra o alla sua sinistra a seconda delle convenienze politiche; vantaggio che verrebbe vanificato da nuove elezioni.

Il M5S deve aver fatto errori gravi, strategici, non solo di comunicazione, per meritarsi l’abbandono di metà del suo elettorato: errori su cui conviene riflettere, prima di agire. Di Maio dopo le elezioni europee ha dichiarato: “Il M5S non perde, impara!”, ma non ha ascoltato le (nostre) critiche prima, e ora non dice cos’ha imparato e come cambierà la linea; forse perché non ha le idee chiare. E’ difficile che lo stesso personale politico venga buono per tutte le stagioni. Ma una nuova leadership non può essere scelta a caso, solo perché è nuova: deve impersonare le nuove strategie.

Il M5S è rimasto a metà strada fra l’Europa e il populismo economico: ma non si possono avere entrambe le cose. La Lega invece ha scelto il populismo, e al tempo stesso ha detto (non so con quanta sincerità) di voler uscire dall’Euro. Questo è un progetto coerente, e quindi in qualche modo credibile. Il progetto in deficit dei M5S è invece contraddittorio (con l’euro), anche nel breve termine, a maggior ragione se deve sommarsi a quello della Lega. Per questo, anche, gli elettori hanno scelto la Lega. Ma non è detto che, se il progetto politico originario dovesse ritrovare coerenza, gli elettori non tornerebbero a votare il Movimento.

Per essere chiaro: l’unico modo per salvare il governo Lega-M5S è cedere platealmente sulla Tav in ossequio al risultato delle Europee (un modo per chiudere la questione), e poi puntare dritto alla grande impresa comune dell’uscita dall’euro, e del rilancio del paese grazie alla svalutazione. Ma per realizzarla occorre compattezza, e una delega sostanziale a personale di governo altamente specializzato, separando il Parlamento – controllore – dai ministri esecutivi.

In alternativa, alleandosi con il Pd (come suggerito da Paolo Mieli: “Il Pd ha bisogno di alleati”), invece di consegnarlo alle destre, il M5S potrebbe dare una svolta ambientalista e solidarista al Paese, realizzando molti dei suoi obiettivi. Ma per rendere possibile al Pd un’alleanza, il M5S dovrebbe anche qui rinunciare a qualcosa di grosso: al deficit-spending; accettando persino un ritorno del ministro Padoan, o almeno la linea di “austerità espansiva” (e filo-investimenti) del ministro Tria. Anche a costo di spalmare nel tempo il reddito di cittadinanza e “quota 100”. Certo, sarebbe un tornare indietro rispetto alla linea Di Maio. Ma è proprio questo il punto: ammettere gli errori (non marginali), cambiare strada. Nella situazione attuale, un crollo degli spread darebbe una svolta alle aspettative anche sui mercati reali. La crescita che ne deriverebbe aprirebbe spazi a robuste misure sociali a fine legislatura.

Il Pd a sua volta, per rendersi minimamente accettabile agli occhi del M5S, dovrebbe attuare una svolta a tutto campo sulla questione morale, mutando letteralmente pelle (o tornando a Berlinguer), nell’atteggiamento che mantiene nei confronti dei suoi inquisiti e condannati, e sui privilegi della politica. Il successo di Salvini dimostra che, oggi, il coraggio paga, l’immobilismo no. Due prove di audacia e serietà speculari ed improbabili da parte di Pd e M5S offrirebbero al Paese un modello di sviluppo alternativo a quello della destra.

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