Nella politica italiana drammaticamente regredita all’infanzia, il Pd, con tutti i suoi capricci e ripicche, risulta il partito più infantile dell’intera scena nazionale. Nel frattempo i borborigmi e le bullaggini a scopo elettorale di Matteo Salvini hanno sdoganato l’onda nera in cui sguazzano i reduci del passato più canagliesco e ottuso, magari tendente al criminale; che i pesi minimi pentastellati hanno qualche non marginale problema a contenere, perché sprovvisti di anticorpi politici adeguati e molto spesso con lo stigma dei dilettanti allo sbaraglio.

Eppure l’unico, intermittente, contrasto in campo dei disegni destrorsi di un ministro degli Interni che strumentalizza paure indotte e legittima rigurgiti belluini per impadronirsi del Paese è rappresentato proprio da loro: i figli del web e del fu grillismo catapultati nel mondo reale.

Se la politica – come diceva quel tale – “non è l’arte del possibile, bensì quella di rendere possibile ciò che è necessario”, chi tiene a cuore la difesa minima di un’idea civile dell’Italia dovrebbe essere interessato a rinforzare in qualunque modo i bastioni difensivi contro la resistibile ascesa di Capitan Mitra lumbard. E magari progettare qualche sortita. Leggi: progettazione di strategie politiche d’attacco.

E invece il Partito Democratico, attualmente il secondo per numero di rappresentanti nelle due Camere, continua a specchiarsi nei retaggi di un renzismo senza Renzi: l’immobilità più assoluta nell’inestirpabile convinzione che la catastrofe democratica imminente si rivelerà un meraviglioso investimento sul futuro. Avendo scambiato il rigor mortis per furberia sopraffina. Non rendendosi conto che l’inazione conferma nell’elettorato la convinzione che ormai il partito dedito all’americanismo del popcorn è inutile a sé e agli altri. E chi scrive azzarda la previsione che le prossime elezioni europee ne puniranno la puerilità. La petulanza come lascito comunicativo del passato renziano. Quel mix di boria e nullismo con cui ora l’homme qui rit, il ridanciano Nicola Zingaretti, liquida ogni possibile approccio tra soggetti politici per il contenimento dello sfascismo salviniano come “improponibile soccorso rosso”. Allocuzione assolutamente fuori luogo per chi ormai è finito sotto i ponti della politica e non conta più niente. Si ostina a lasciare cadere ogni opportunità per contare qualcosa. Per il bene della malandata democrazia italiana, sotto minaccia di totale svuotamento.

Certo, il neo segretario Pd deve fare i conti con l’avvelenamento dei pozzi parlamentari da parte del simil-blairino di Rignano, che ha riempito di suoi fidi le aule di Montecitorio (pronti a minacciare l’ennesima scissione se il partito prova a uscire dall’isolamento e dall’afasia). Certo, lo stesso Zingaretti è l’ennesimo sottoprodotto di un apparato burocratico che produceva quadri opachi e a esclusiva vocazione notabilistica. Certo, il retaggio da Terza Via, che risale non a Matteo Renzi ma a Massimo D’Alema, produce riflessi condizionati legge-e-ordine, all’inseguimento delle maggioranze silenziose da blandire con promesse illusorie, tipo quel Tav che Luigi Di Maio e soci osteggiano. Certo, nel passato i colpi scambiati coi Cinquestelle sono stati durissimi e hanno lasciato strascichi da nume offeso nel corpaccione del partito in estinzione.

Quelle tempre severe e inflessibili dei piddini, che in precedenza avevano fatto a capocciate con Silvio Berlusconi e insieme praticato il lingua-in-bocca; per un ventennio sottobanco (Bicamerale docet), poi alla luce del sole sotto la guida degli statisti Mario Monti, Enrico Letta e Matteo Renzi. E allora? Allora s’ha da dire che tra le varie disgrazie incombenti sull’Italia c’è anche quella rappresentata dai capricci irresponsabili di chi ha congelato un quinto del voto espresso alle scorse elezioni politiche per inseguire il proprio sogno a fumetti. Da cui l’imminente catastrofe del sistema-Paese ci sveglierà con il ticchettio a orologeria dell’aumento dell’Iva.

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