Considerare Haftar come un difensore della “laicità” contro il radicalismo islamico sarebbe tuttavia fuorviante. Gruppi estremisti di ispirazione islamica sono in effetti presenti in entrambi gli schieramenti. In particolare le truppe del generale libico, difficilmente assimilabili a un esercito, sono un insieme di forze locali e tribali al cui interno un ruolo importante è giocato dalle milizie madkhalite. I madkhaliti (parzialmente presenti anche nello schieramento che fa capo al Gna) sono gruppi salafiti che si richiamano agli insegnamenti del predicatore saudita Rabi’ al-Madkhali, e rifiutano elezioni e istituzioni democratiche. Purtroppo, la minaccia militare di Haftar rischia di ridare maggior potere anche agli elementi più radicali presenti nello schieramento avversario.

La parabola ascendente del generale della Cirenaica ha creato seri dilemmi agli ultimi governi italiani. L’Italia si era schierata con il governo internazionalmente riconosciuto di Tripoli, anche perché i suoi interessi in Libia sono localizzati principalmente nella parte occidentale del Paese. La nostra diplomazia aveva tuttavia compiuto crescenti aperture nei confronti di Haftar, culminate con la presenza di quest’ultimo alla conferenza di Palermo lo scorso novembre.

Se il nostro Paese è apparso spesso incerto nelle scelte da compiere, non è tuttavia corretto affermare – come hanno fatto diversi commentatori italiani – che i nostri governi hanno puntato sul “cavallo sbagliato”, per il semplice motivo che non esiste un “cavallo giusto” in Libia. Haftar non lo è perché, al pari dei suoi avversari, non è in grado di controllare da solo il Paese. Nella sua avanzata, egli sembra non aver tenuto conto del fatto che la Libia, oltre ad avere una struttura tribale, è composta da “città-Stato” fiere della propria indipendenza e ostili alle sue istanze accentratrici.

Il vero fallimento dell’Italia è stato non aver saputo scongiurare l’internazionalizzazione della crisi nel 2011, che determinò l’ingresso di numerosi attori stranieri che prima avevano un’influenza limitata nel Paese. Del resto fu la Nato stessa ad aprire la strada ai paesi del Golfo in Libia, “subappaltando” loro l’appoggio logistico e finanziario alle forze anti-Gheddafi sul terreno. Tali Paesi hanno tuttavia importato nel Paese il loro conflitto “intra-sunnita” fra sostenitori e oppositori dei Fratelli Musulmani, complicando ulteriormente la situazione.

L’attuale riacutizzarsi della crisi ha poi dato nuovo risalto alle divisioni europee e all’inesistenza di una politica estera unitaria da parte dell’Ue. Se è vero che in Europa la Francia appare relativamente isolata nella sua scelta di appoggiare Haftar, è altrettanto evidente che gli altri membri dell’Unione si sono mostrati fin qui incapaci di esercitare una pressione significativa a difesa del processo negoziale.

Sul piano militare Haftar ha perso la sua spinta propulsiva, ma non sembra intenzionato a rinunciare ai propri obiettivi, mentre i suoi avversari appaiono determinati a espellerlo dalla Tripolitania. In assenza di uno sforzo unanime di tutti gli attori internazionali coinvolti nel conflitto per spingere i contendenti a riaprire il dialogo, vi è il rischio di un’escalation militare che a sua volta provocherebbe una grave emergenza umanitaria, una recrudescenza del terrorismo nel Paese e una possibile nuova crisi migratoria.

Non essendo scontato l’aiuto americano (secondo recenti indiscrezioni, Washington chiederebbe, come contropartita, l’appoggio italiano all’autoproclamato presidente Juan Guaidó in Venezuela), il nostro governo dovrebbe compiere ogni sforzo in sede europea, coordinandosi con Gran Bretagna e Germania per convincere la Francia che Haftar non è in grado di imporre una soluzione militare, e che una Libia nel caos non conviene neanche a Parigi. Una ritrovata unità europea è la necessaria precondizione per spingere Emirati Arabi, Egitto e Arabia Saudita a ricondurre il generale libico al tavolo negoziale. E’ necessario che tutti si rendano conto che la via della riconciliazione politica e della condivisione del potere è l’unica percorribile, se si vuole salvare la Libia.

* Analista di politica internazionale, autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).

@riannuzziGPC

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Libia, la minaccia di Haftar mette a dura prova l’Italia. Ma il nostro vero fallimento è un altro

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