di Roberto Iannuzzi*

La Libia è sprofondata in una nuova pericolosa crisi, che sta aggravando anche i problemi di politica estera dell’Italia. Khalifa Haftar, il generale che partendo dalla Cirenaica aveva esteso il proprio controllo alla porzione sudoccidentale del Paese, ha infine giocato la sua carta più spregiudicata puntando alla conquista di Tripoli. Come già aveva fatto nella regione meridionale del Fezzan, Haftar ha utilizzato una miscela di minacce militari e allettamenti politici ed economici per tentare di disarticolare il già frammentato fronte avversario, guidato dal Governo di accordo nazionale (Gna) del premier Fayez al-Sarraj.

Egli ha tuttavia commesso un duplice errore strategico, in primo luogo sottovalutando la capacità di reazione delle milizie che controllano Tripoli e delle altre città che appoggiano il Gna (come la potente Misurata), e secondariamente mostrando di essere pronto a passare dalla cooptazione alla coercizione tramite l’uso della forza, fra l’altro bombardando l’aeroporto di Mitiga, l’unico tuttora funzionante nella capitale. Nei giorni successivi, Haftar ha poi fatto ricorso al lancio indiscriminato di missili Grad contro quartieri residenziali.

Ciò ha messo in chiaro, anche agli occhi di coloro che stavano valutando la possibilità di passare dalla sua parte, che egli giungeva come un conquistatore più che come un liberatore. Questa presa di coscienza ha determinato un inaspettato e massiccio ricompattamento del fronte guidato dal premier al-Sarraj, che non solo è apparso in grado di impedire a Haftar l’ingresso a Tripoli, ma si è anche mostrato deciso a contrattaccare per riguadagnare le posizioni perdute in precedenza.

Per le milizie tripoline e per Misurata, fiorente porto a est di Tripoli, la presenza delle forze fedeli a Haftar attorno alla capitale rappresenta una minaccia esistenziale, che non può essere tollerata. Per altro verso, nella sua avanzata verso Tripoli il generale libico ha esteso oltremisura le forze di cui dispone, mettendo a dura prova le sue esili linee di rifornimento. In un sol colpo Haftar ha dunque distrutto gli sforzi negoziali in corso di faticosa maturazione, provocando il rinvio a tempo indeterminato della Conferenza nazionale organizzata dall’Onu dal 14 al 16 aprile, e ha fatto sprofondare ulteriormente il Paese in quel disordine militare dal quale proprio lui pretendeva di salvarlo. Paradossalmente, alla Conferenza nazionale Haftar avrebbe potuto raggiungere per via negoziale molto più di quanto sembra in grado di ottenere manu militari. Ma il suo desiderio di accentrare tutto il potere nelle proprie mani lo ha spinto a preferire il ricorso alla forza, una scelta che ora potrebbe fargli perdere molte delle conquiste realizzate finora.

L’ascesa di Haftar era stata favorita dal disinteresse di Stati Uniti e Unione europea, nominalmente schierati con il Gna riconosciuto dall’Onu, e dalla crescente schiera di sostenitori internazionali – Emirati Arabi Uniti, Egitto, Francia, Russia, e più di recente Arabia Saudita – che hanno fornito appoggio militare e finanziario al generale della Cirenaica. Parigi, in particolare, dopo aver dato un contributo determinante al rovesciamento di Gheddafi, ha coltivato Haftar per anni, in base a una discutibile strategia che punta a contenere la crescente instabilità nel Nord Africa e nel Sahel imponendo nuovi governi autoritari nella regione.

I più fermi sostenitori del generale libico sono però gli Emirati Arabi (seguiti dall’Egitto), i quali lo hanno considerato un baluardo non solo contro il jihadismo, ma più in generale contro tutti quei gruppi più o meno vicini ai Fratelli Musulmani. In Libia questi ultimi erano schierati con il governo di Tripoli, che non a caso ha ricevuto il sostegno dei due grandi sponsor regionali del movimento, Turchia e Qatar.

Libia, la minaccia di Haftar mette a dura prova l’Italia. Ma il nostro vero fallimento è un altro

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