Realizzare uno di quei film che cambiano la percezione della Settima arte è l’ambizione di qualunque regista. Di rado questo accade. E ancor più raro è che non solo un cineasta si ripeta, ma che lo faccia affrontando generi diversi. Per riuscire in quest’impresa occorre innanzitutto una straordinaria capacità di narrare, un dono nient’affatto comune. Insomma, sono davvero pochi gli eletti che possono sedersi a tavola con Orson Welles e Stanley Kubrick. E Francis Ford Coppola è uno di questi.

Nato a Detroit il 7 aprile 1939 da una famiglia di origine lucana, più che il cinema sono le note a scorrergli nelle vene. Il padre Carmine, infatti, era un musicista jazz e in quel periodo dirigeva una piccola orchestra foraggiata dal magnate dell’automobile Henry Ford. Da qui il secondo nome di Francis. Ancora bambino, tuttavia, il piccolo fu colpito da una forma di poliomielite e – proprio come Martin Scorsese – fu così costretto a trascorrere una lunga degenza rinchiuso in casa. Per ingannare il tempo comincia così a realizzare marionette, allestire piccoli teatrini e girare i primi filmati in 8mm.

Sei premi Oscar e altrettanti Golden Globe, tre David di Donatello, due Palme d’Oro, un Bafta e un Leone d’oro alla carriera. In oltre 50 anni di carriera Francis Ford Coppola ha saputo inventare e reinventarsi, toccando storie tanto intime quanto universali. Ma se c’è un cosa che non lo ha mai abbandonato è proprio quella scintilla infantile. Quella gioia e quel desiderio di raccontare storie, di nascondercisi dentro e, magari, di cambiare il cinema. Almeno un po’.

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