“Ho capito che per superare la difficoltà, bisogna darsi un obiettivo e io non mi arrendo”, questa è Angela Grignano, 25 anni, rimasta ferita a una gamba il 12 gennaio a Parigi nell’esplosione nella zona dell’Opera. Unica passione, il ballo. Le sue parole sono aria fresca ma arrivano come una ventata violenta. Un po’ come il suo sorriso, dolce e forte, dietro a lei la Senna, che scorre apparentemente calma. Il ritorno nella sua Taranto avvelenata dal disinteresse dei politici adulti che miete vittime sarebbe avvenuto qualche giorno dopo. Anche tornare a casa in questo caso è un atto di coraggio, dopo che hai investito nello studio fuori sede e hai trovato lavoro all’estero. Reazione, e lei reagisce.

“Nuoterò in maniera diversa, ma nuoterò ancora. Si va avanti, è andata così. Si riparte”. Questo è Manuel Bortuzzo, 20 anni. Il 3 febbraio si interrompe il suo sogno olimpico: due balordi gli sparano alla schiena e lui resta paralizzato. Sul letto d’ospedale, appena riaperti gli occhi, guarda la madre: “Fatti coraggio”.

I superpoteri devono essere questi. Quindi forse Superman, Spiderman e anche Iron Man esistono davvero e si nascondono tra noi. Perché qui l’acciaio c’è ed è davvero indistruttibile. Più della voce grossa e degli atti tracotanti, tutto sommato facili e senza costi aggiuntivi, dei nostri potenti a paroloni.

Poi abbiamo conosciuto Greta, che a sedici anni fa tremare i leader mondiali in nome del clima e si porta appresso migliaia di altre sorelle sparse in tutto il mondo. Una è Emanuela Iannò, diciassettenne napoletana dei Quartieri Spagnoli cresciuta a pane e odore della terra dei fuochi. La chiamano la “Thunberg italiana” ma lei risponde che “Non bisogna essere Greta per fare le piccole grandi battaglie quotidiane”.

Atti, gesti, azioni. Il coraggio alla fine è questo, no? La quotidiana lotta per l’affermazione di una seconda verità. Ce la stanno raccontando, snocciolandola giorno per giorno persone che saranno il futuro del nostro Paese, e che con  le loro azioni e la loro forza, si muovono in direzione ostinata e contraria ai “grandi” che li circondano.

E infine c’è lui, di cui non sappiamo il nome, né abbiamo visto bene il volto. Ma abbiamo sentito chiare le sue parole, in un italiano viziato dalla cadenza romana. E’ il ragazzo con il cappuccio, lo chiamiamo così, quello che da solo si è schierato contro tutta la folla della periferia della capitale, perfettamente unita, nel dire No, il 2 aprile, ai circa settanta rom accolti in una struttura del comune di Torre Maura, periferia della capitale; nel gridare di volerli morti; nel calpestare viveri e bevande destinate ai più piccoli. C’era lui, da solo a sfidare Casapound e a dire che: “Nessuno va lasciato indietro: né italiani, né stranieri”. Parlava male, l’adolescente di periferia, ma esprimeva idee che piacerebbe sentire applicate.

Le sue come quelle di Emanuela, di Manuel, di Angela. Figli di un Paese che prima o poi, se vorrà progredire, dovrà prendersi spazio e distanze da decisioni sbagliate e imposizioni dall’alto. La reazione è d’obbligo. Non sarà un caso che a ridosso del giorno in cui  è ufficiale che tornerà la dicitura “padre” e “madre” sulla carta d’identità dei minorenni, e l’Italia indietreggia di anni, arrivano anche le notizie che la Cassazione riabilita il sindaco Mimmo Lucano e che la stimolazione wireless, nuova terapia per i paraplegici, ha sempre maggior successo. Una tecnica che è speranza per il supereroe Manuel. E per il nostro Paese, perché anche lui reagisca, si alzi e cammini. A piccoli passi, va benissimo lo stesso.

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