Dopo la seconda bocciatura al suo accordo sulla Brexit, Theresa May torna oggi alla Camera dei comuni per mettere ai voti una mozione sul no deal: i deputati britannici dovranno decidere se uscire dall’Unione europea senza un’intesa con Bruxelles. La premier lascerà libertà di voto ai Tory, ma resta contraria al no deal e, nel caso probabile in cui oggi i Comuni dicano di no alla hard Brexit, giovedì metterà ai voti un’ulteriore mozione sulla possibilità che il governo chieda un breve rinvio dell’addio all’Ue.

Sono tre gli emendamenti che verranno votati stasera dalla Camera dei Comuni, a partire dalle 20 (ora italiana). Oltre a quello presentato dal governo, per decidere se respingere o approvare l’opzione ‘no deal’ per la Brexit, lo speaker John Bercow ha ammesso altre due proposte di modifica. La prima, presentata da un gruppo bipartisan di deputati con prima firmataria la conservatrice Caroline Spelman, respinge anch’esso l’ipotesi di un’uscita senza accordo dalla Ue. La differenza con l’emendamento governativo sta nella formulazione. Il testo del governo, pur escludendo un divorzio dalla Ue senza accordo il 29 marzo, lascia aperta l’opzione ‘no deal’, nel caso che Londra e Bruxelles non riescano a ratificare un accordo. L’emendamento Spelman, per il quale il governo ha dato indicazione di voto contraria, punta invece a cancellare del tutto l’ipotesi di un’uscita disordinata dall’Unione europea.

L’altro emendamento ammesso al voto, impone al governo la ricerca di un Piano B per la Brexit. Presentato da un gruppo di deputati Tories, l’emendamento chiede all’esecutivo di procedere con una breve proroga dell’articolo 50 e un accordo di “reciproca battuta di arresto” con la Ue fino al dicembre del 2021, evitando il ‘no deal’. Su questo testo, ai deputati conservatori è stata lasciata libertà di voto.

Sarà però sull’emendamento Spelman che si concentrerà l’attenzione stasera, perché a favore del testo potrebbero votare alcuni ministri conservatori pro Ue, i cosiddetti ‘Remainers’. In tal caso, andando contro le indicazioni del governo, potrebbero essere costretti a dimettersi dall’esecutivo.

Da una parte quindi l’hard Brexit, dall’altra una richiesta di proroga da inviare a Bruxelles per prendere tempo rispetto alla scadenza del 29 marzo: sono queste le due strade possibili dopo che il Parlamento inglese ha detto no anche all’ultimo tentativo della May di salvare, dopo alcune concessioni ottenute lunedì da Bruxelles, l’accordo negoziato con l’Ue. Tecnicamente, il governo britannico potrebbe anche ritirare la notifica dell’articolo 50 dei trattati (che ha innescato il procedimento di uscita) in maniera unilaterale in qualsiasi momento prima del 29 marzo, di fatto annullandola. Tuttavia si tratta dello scenario meno probabile, perché equivarrebbe a sconfessare il risultato del referendum del 2016 e aprirebbe la strada a nuove elezioni, aumentando di fatto l’incertezza e la complessità del percorso di Brexit.

Intanto questa mattina, in vista della possibilità di una hard Brexit, il governo ha annunciato in mattinata che l’87% dei beni importati in Gran Bretagna saranno esenti da dazi e non ci saranno nuovi controlli alla frontiera irlandese.

Hard Brexit – È lo scenario del ‘no deal’ in cui il Regno Unito uscirebbe dall’Ue senza un accordo che stabilisca cosa succede dopo. Westminster vota oggi, mercoledì 13 marzo, se intende davvero perseguire l’opzione più drastica su Brexit. In questo scenario non ci sarebbe un periodo di transizione, né un ‘backstop’ che risolva la questione dell’Irlanda del Nord, aprendo così la strada a un inasprimento tra gli unionisti e i nazionalisti irlandesi. Dal 29 marzo Londra sarebbe anche fuori dal mercato unico. Si applicherebbero dunque le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) e tornerebbero i dazi e i controlli alla frontiera su molte merci. Negli ultimi mesi, la Commissione europea e i vari Paesi membri hanno presentato dei piani d’emergenza da implementare in vista di un no deal. Questi piani danno priorità alle questioni che toccano più direttamente i cittadini europei, come la loro mobilità, i servizi sociali e settori sensibili come quello dei servizi finanziari e dei trasporti (a partire da quello aereo), principalmente attraverso meccanismi di proroghe. Ma è la stessa Commissione a riconoscere che questi piani non possono in alcun modo annullare gli effetti di una hard Brexit, soprattutto nel periodo immediatamente successivo.

Il piano-dazi in caso di no deal – Il piano in caso di ‘no deal’, reso noto prima che il parlamento voti mercoledì per decidere se è possibile uscire dall’Ue senza accordo alla scadenza del 29 marzo, migliora la situazione per i beni provenienti dai paesi extra Ue, ma peggiora quella per le merci europee, sottolinea la Bbc. Attualmente la Gran Bretagna ha un regime tax free per l’80% delle importazioni, mentre tutti i beni provenienti dall’Ue sono esenti da dazi. In pratica, con il nuovo regime, l’’82% di quanto viene importato dall’Ue rimarrebbe tax free, mentre per il resto del mondo si salirebbe al 92% (ora è il 56%). Il progetto prevede il mantenimento di dazi per la protezione di alcuni settori, fra cui l’agricoltura, con tariffe all’importazione per la carne bovina, ovina, il pollame e prodotti caseari. Per quanto riguarda lo spinoso problema della frontiera fra Irlanda del Nord e Irlanda, unico confine di terra fra Regno Unito e Ue, il piano prevede un regime temporaneo durante il quale non verrà imposto sulle merci in transito nessun controllo né verrano richieste dichiarazioni alla dogana. Nel frattempo il governo britannico cercherà di negoziare un accordo a lungo termine con la Ue.

La proroga – Domani, giovedì 14 marzo, è previsto invece il voto di Westminster sulla richiesta di proroga a Bruxelles. In questo caso Londra utilizzerebbe quanto previsto dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona, ovvero che la scadenza dell’uscita di un Paese dall’Ue possa essere prorogata all’unanimità dai rimanenti Paesi membri. Diversi Paesi europei – tra cui la Germania – si son già espressi positivamente rispetto a una opzione di questo tipo che allontanerebbe, almeno nel breve periodo, lo spettro della hard Brexit. La Francia ha comunque precisato che potrebbe bloccare la richiesta di proroga se da Londra non arrivassero segnali chiari in merito al piano che intende seguire dopo averla incassata. Punto dirimente sarà la questione del periodo coperto dalla proroga, durante il quale il Regno Unito rimarrebbe comunque un Paese membro dell’Unione europea. Il rinvio dovrebbe in linea teorica permettere a Londra di rinegoziare un nuovo tipo di accordo con Bruxelles, ma il quadro è complicato dalle elezioni europee di maggio. Nel caso di una lunga proroga, il paradosso sarebbe i cittadini britannici dovrebbe andare alle urne per eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo, i cui seggi tornerebbero a essere 751, mentre al momento è previsto che vengano ridotti a 705 proprio per tenere conto dell’assenza di rappresentanti britannici. Tutto ciò a meno che Bruxelles non trovi un qualche espediente giuridico per il quale Londra sia ‘esentata’ dall’eleggere i suoi rappresentanti.

Ritiro unilaterale – Il governo britannico in teoria ha anche la facoltà ritirare la notifica di Brexit in maniera unilaterale in qualsiasi momento prima dell’uscita prevista per il 29 marzo, annullando di fatto la Brexit. In questo scenario, il governo di Theresa May potrebbe cadere o lei stessa potrebbe decidere di dimettersi. Nell’ipotesi di ritiro da Brexit e di elezioni anticipate potrebbe farsi concretamente strada l’idea di un nuovo referendum, su cui i laburisti di Corbyn sembrano oggi più possibilisti che in passato. In campo conservatore, si riaprirebbe la disputa sulla leadership, nella quale potrebbe prevalere Boris Johnson, un convinto sostenitore della hard Brexit. Secondo recenti sondaggi le spaccature all’interno dei tories non hanno rafforzato a sufficienza il Labour e i due partiti potrebbero trovarsi testa a testa. Ciò darebbe luogo a un ‘Parlamento appeso’, in cui né i conservatori, né i laburisti disporrebbero da soli di una chiara maggioranza. Una situazione di incertezza politica che renderebbe il percorso di Brexit ancora più complesso.

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