Abbiamo finalmente avuto il risultato. Noi, opinione pubblica, morbosamente attaccata alla storia della professoressa di Prato (che di mestiere fa l’infermiera, ma impartisce anche lezioni private) e della sua relazione con un minore, possiamo dirci soddisfatti, come nella più ghiotta delle telenovelas. Il bambino è del minore, scandalo grandissimo, e dunque la donna è doppiamente colpevole: verso il marito, verso il ragazzo e pure verso l’altro figlio.

Eppure, a guardare bene l’esito di questa vicenda, si può dire che alla fine questa tanto acclamata verità biologica non servirà a nulla. Anzi, farà del male a tutti. Al ragazzo, probabilmente frastornato, che si troverà improvvisamente a confrontarsi con un’immagine di sé “padre” per la quale sicuramente non era pronto e che forse lacererà la sua giovane vita ancora di più. Al padre non biologico del bambino, che aveva dichiarato che comunque quello era suo figlio e che ora sarà devastato dall’ansia, tanto più che non si sa ancora se la sua paternità legale resterà tale. Infine alla donna stessa, una donna certamente confusa a livello emotivo, che oggi si ritrova in una situazione a dir poco allucinante.

Non si sarebbe dovuto fare il test? Io penso che, prima di tutto, questa donna e anche il ragazzo sarebbero dovuti restare al riparo dal clamore mediatico che li ha coinvolti e che forse ha spinto anche la donna a compiere troppo precipitosamente questo passo, senza aver bene in mente le conseguenze di questa decisione e forse, come riportano i giornali, anche spinta dalla volontà di reagire all’accusa degli avvocati di aver inventato la paternità del ragazzo per tenerlo legato. Come può una persona già probabilmente poco stabile agire correttamente quando tutti intorno a lei – parenti, amici, vicini di casa, tutti – sono a conoscenza dei fatti nei minimi particolari, grazie alla diffusione su ogni mezzo televisivo? Certo, c’è una querela, che è un atto pubblico in qualche modo, ma non c’è dubbio che la stampa si sia gettata sul caso per la sua morbosità, appunto, probabilmente contribuendo ad alterare un equilibrio già precario.

Personalmente non sono neanche del tutto d’accordo a caratterizzare in maniera automatica come violenza sessuale una storia, un rapporto, solo in base all’età. E questo lo dico non perché in questione ci sia una donna – l’ho scritto anche in altre occasioni – ma perché si tratta sempre di una forma di riduzionismo. Ovviamente, anche la violenza di tipo psicologico è tale e dunque può giustamente portare a un’eventuale condanna, ma prima – a mio avviso – andrebbero verificati i fatti, ovvero ciò che è accaduto realmente nella mente e nelle emozioni di quelle due persone. E comunque sono convinta che è ciò che faranno i giudici, mentre invece pare che giornali e tv abbiano già emesso il verdetto.

Tornando al test: sarebbe stato a mio avviso molto più proficuo e protettivo per tutti – è una semplice opinione personale, prendetela per tale – sedersi intorno al tavolo e discutere prima di cosa si sarebbe fatto in caso di un certo esito. E forse si sarebbe deciso che quel test era inutile, perché un padre quel bambino ce l’ha già – come ha un fratello – e perché così il ragazzo avrebbe potuto più facilmente dimenticare questa triste e brutta vicenda. Sono convinta d’altronde che nel 99% dei casi il test del Dna – che oggi va di moda, esistono persino dei kit per farlo in casa – sia controproducente. La verità biologica è una forma importante di verità, non lo nego, e tra l’altro serve anche per motivi clinico-medici, ma spesso rischia di innestare un conflitto insanabile,  che mai si sarebbe creato se il test non fosse stato fatto. E infatti è pieno il mondo di padri che non sanno di non essere padri biologici, eppure vivono felicemente.

Attenzione: non sto dicendo che l’inganno sia cosa buona e legittima. Ma solo, semplicemente, che non serve avere lo stesso patrimonio genetico per amarsi come padri e figli, come madri e figli, come i figli adottati dimostrano. Tra l’altro la stessa scienza sta “smontando” la centralità di paternità e maternità biologiche, vista la crescita esponenziale del ricorso alla fecondazione eterologa e alla maternità surrogata. Ovviamente, proprio il progresso scientifico aumenta anche il conflitto tra i due tipi di paternità/maternità, come è successo quando ci fu il clamoroso scambio di embrioni al Pertini di Roma.

Quello fu un fatto veramente tragico, perché una coppia di genitori venne estromessa per sempre dal rapporto con quelli che geneticamente erano figli loro, visto che per la legge italiana è madre chi partorisce. Ma questo caso è diverso: c’è solo un luogo dove il bambino può crescere bene e felice, specie se la mamma riuscirà a fare esperienza dei suoi errori, perché di errori si tratta: e cioè la famiglia dove già vive. Dunque, proprio in nome di quest’altra verità, sarebbe stato molto meglio evitare ogni test. E soprattutto allontanare la famiglia dai riflettori. Perché anche quella massmediatica, non scordiamolo, è a suo modo una forma di violenza.

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