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Paolo Ruffini rivela: “Mi hanno accusato di aver copiato un film, oggi per la comicità sono tempi difficili”

di Giulio Pasqui

“Oggi per la comicità sono tempi difficili”. Lo dice anche Paolo Ruffini, livornese doc, con la capacità di far ridere incisa nel Dna. “Il pubblico si prende molto sul serio, spesso – soprattutto sui social – dicono a noi comici ‘ma cosa ridi?’ o ‘non c’è niente da ridere!”: queste due frasi smontano qualsiasi persona che fa questo di mestiere”.

“Paolino” sembra concordare con la riflessione de ilfattoquotidiano.it di qualche giorno fa, dove ci si chiedeva “C’è qualcuno che è ancora capace di far ridere, in tv?”. Dice lui: “Ormai le persone ridono delle gag tra due animali trovate su Facebook e poi passano a quella successiva con i gattini. Tutto è riproducibile, tutto è ritrovabile. I film che trasmette Rete 4 di notte se uscissero oggi al cinema non farebbero un euro di incassi, ma oggi li vedi comunque perché sono dei cult e pensi ‘bei tempi quelli passati’. Oggi non si accettano più certe battute, non si accetta più una certa volgarità. Immaginiamoci Asfidanken oggi o le Ragazze Coccodè: quegli sketch verrebbero massacrati dalla critica e dal pubblico dei social. Non si può fare più nulla. Se fai il mestiere dello scemo, oggi, significa che sei davvero scemo. E pensare che prima far ridere la gente era un vanto… Insomma, la comicità sta vivendo un periodo complicato e delicato, è per questo che sto cercando di sperimentare anche altri generi. Presto sarò in teatro con Sogno d’una notte di mezza estate di Massimiliano Bruno e quello è proprio Shakespeare, non c’è niente di comico”.

Non solo: sabato 26 gennaio alle ore 15.45 su SkyUno (canale 108 e sul digitale terrestre al canale 311 o 11) verrà trasmesso Up & Down – Un Film Normale che con la tecnica del docufilm racconta l’avventura teatrale di Ruffini al fianco di 6 ragazzi disabili della compagnia Mayor Von Frinzius di Livorno. “La vera rivoluzione è portare la disabilità declinata con il pop. Questo non è un film sulla disabilità o sulle persone down, ma con persone down sulla normalità e sulla felicità”, dice Paolo del docu-film che è stato premiato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia.

Anche una risata può far riflettere e sensibilizzare?
“L’allegria sicuramente. Il tema della disabilità è sempre stato affrontato con molta seriosità. Invece questo è un tema serio che ha anche il suo lato leggero. Noi siamo passati dall’essere un Paese che rinchiudeva nei manicomi o in strutture psichiatriche ai limiti della tolleranza umana chi era diverso da noi, a questa moralità insopportabile del ‘poverino’. Ma i disabili non sono ‘poverini’ e non vogliono sentirselo dire. Voglio sentirsi dire ‘tu vali quanto me’. Questo senso di parità te lo dà il teatro e il cinema”.

La televisione meno?
“E’ un periodo storico strano. Si parla molto più di social che di sociale. Si parla molto più di reality che di realtà. Si parla tanto di primi, di vip, e poco degli ultimi. Ecco, ci sono degli ultimi che non hanno voglia di essere primi, ma che hanno voglia di essere interessanti come ultimi. Una delle poche che dà spazio a questo tema è Maria De Filippi con C’è Posta per Te. La vittoria è tangibile: quando riesci a far diventare di larga diffusione una problematica, questa viene stemperata da chi la vive perché si sente meno solo”.

Un film normale è la definizione di questo film.
“Il film è nato per caso, non era previsto. Quando nel backstage dello spettacolo ho iniziato a puntare la telecamera addosso ai miei colleghi attori uno di loro, a un certo punto, mi ha detto: “Perché ci riprendi? Noi siamo normali, non c’è niente di particolare in noi”. Detto da una persona affetta dalla sindrome ‘down’, persone che spesso vengono chiamati ‘ragazzi speciali’, questo mi ha colpito molto. Anzitutto perché il cinema, come la vita, non è normale mai. La normalità è solo una nostra esigenza per avere una linea da seguire. Ma cos’è normale? E’ normale fotografare un piatto al ristorante prima di mangiarlo? E’ normale considerarsi “amici” solo perché lo siamo su Facebook? Queste persone hanno una confidenza con la felicità che a noi spesso sfugge”.

Qualcuno ha detto “Ruffini sfrutta questi ragazzi”?
“Incredibilmente no. Non ci posso credere neanche io… con tutto che sono io a farlo (dice sornione, ndr). Criticano tutto e sono ancora qui che aspetto: sarà che io non ho sfruttato proprio nessuno, anzi con questi progetti il lavoro di sensibilizzazione è stato valoroso e vigoroso”.

L’ultima cosa sui cui ti hanno criticato?
“Mi hanno accusato di aver copiato un film, L’agenzia dei Bugiardi attualmente al cinema: “L’ho letto sui social”, mi hanno detto. Ma ragazzi, si chiama remake: esistono dei diritti, che si acquistano. L’hanno fatto da Benvenuti al Sud in giù, da sempre. Quando la mancanza di conoscenza della gente diventa un’onda… è pericoloso”.

Ho una sensazione: da qualche tempo vuoi lasciarti alle spalle la – passami il termine – “demenzialità” leggera di un tempo.
“E’ inevitabile quando compi quarant’anni e vuoi continuare a fare questo lavoro. Ho voglia di crescere e sperimentare cose nuove. Pensa che quest’anno per la prima volta in vita mia ho interpretato il ruolo di un babbo, nel film Modalità Aerea che uscirà a febbraio al cinema: questo mi ha fatto effetto, però credo sia normale”.

A Colorado tornerai?
“Tornerò. Il programma è previsto per la primavera, è ancora tutto in costruzione e non è stato definito niente”.

La concorrenza di Made in Sud si affida a Stefano De Martino
“E’ una bella scelta, sai? Secondo me stupirà. La conduzione di una trasmissione comica è difficile. Ma lui ha delle doti di simpatia innate. Se vieni da dove viene lui ce l’hai nel sangue, non c’è nulla da fare”.

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