Entreranno in camera di consiglio lunedì 26 novembre, dopo le controrepliche delle difese, i giudici della Corte d’appello di Genova che devono emettere la sentenza nel processo di secondo grado per l’ipotizzata truffa aggravata ai danni dello Stato da parte dell’allora Lega Nord che, secondo l’accusa, ha ottenuto i rimborsi elettorali ai danni del Parlamento, tra il 2008 e il 2011, falsificando rendiconti e il bilancio. L’udienza è stata rinviata perché oggi e per i prossimi tre giorni è prevista l’astensione degli avvocati che protestano contro la riforma di prescrizione. Nelle scorse udienze, tra luglio e settembre, il sostituto pg Enrico Zucca ha chiesto un anno e 10 mesi e una multa di mille euro per l’ex segretario Umberto Bossi (due anni e sei mesi in primo grado), la condanna dei tre ex revisori, Diego Sanavio, Antonio Turci, a due anni e ottocento euro di multa (in primo grado 2 anni e ottomesi) e Stefano Aldovisi a un anno e tre mesi e 500 euro di multa (un anno e nove mesi).

Dopo la presentazione, a settembre, della querela del Carroccio nei confronti di Francesco Belsito l’accusa ha potuto chiedere la conferma della condanna a 4 anni e 10 mesi anche per l’ex tesoriere. In base alla nuova norma introdotta con la riforma Orlando il reato di appropriazione indebita è procedibile solo per querela di parte. Scadrà invece tra quattro giorni il termine di presentazione della querela per il processo d’appello di Milano in cui per appropriazione indebita è imputato anche l’ex segretario, Umberto Bossi. Ed è molto difficile che Matteo Salvini proceda contro il padre fondatore: ci sono di fatto accordi che lo impediscono. Ed è il motivo per cui il procedimento di Milano, la cui prossima udienza è fissata al 14 gennaio, in assenza della querela si estinguerà. Il 19 novembre scorso alla domanda se la Lega presenterà la querela il vicepremier aveva risposto: “Ho troppo a cui pensare. Chiederò agli avvocati”.

Le richieste dell’accusa. Il pg: “Nei conti caos totale e voluto”
Durante la requisitoria il procuratore aveva sostenuto che “il partito non può essere schermo per atti illeciti” e le operazioni che hanno fatto incamerare illecitamente i soldi erano “deliberate dai vertici della Lega e quindi note a tutti gli esponenti del Carroccio”. Quindi aveva chiesto un piccolo sconto di pena perché il reato relativo al 2008 è prescritto, ma la conferma della confisca degli ormai famosi 49 milioni di euro, “Nei conti della Lega c’era un caos totale, ma non si trattava di un caos primordiale e creativo, bensì di un caos voluto e funzionale a consentire ciò che è accaduto” aveva sottolineato Zucca. Il pg nel suo intervento aveva sottolineato la “titubanza dei giudici di primo grado rispetto alla confisca globale dei proventi profitto di reato” in quanto il tribunale di Genova aveva decretato che le uniche somme sequestrabili erano quelle trovate nelle casse del partito al momento dell’esecuzione del provvedimento. Ma sul punto ormai si è espressa due volte il Tribunale del Riesame e due volte la Cassazione. I soldi vanno cercati ovunque e sequestrati a fine della confisca come deciso dai supremi giudici lo scorso 10 novembre.

La storia dell’inchiesta e perché è stata decisa la confisca
Ma chi si chiede perché il Tribunale di Genovacondannando un anno fa Bossi&co per truffa aggravata allo Stato, abbia deciso la confisca di oltre 49 milioni di euro, è importante spiegare che non si tratta solo del pasticciaccio brutto dei soldi del partito spesi per “The family”: dalle mutande del Senatur alle multe e lauree del Trota (per cui a Milano c’è stata una sentenza di condanna in primo grado), ma della violazione delle leggi per l’erogazione di quelli che vengono chiamati “rimborsi elettorali” come si legge nelle 130 pagine delle motivazione della sentenza di condanna emessa a Genova un anno fa. E poco importa ai giudici che dalle casse del Carroccio sia usciti, tramite i magheggi del tesoriere Francesco Belsito, nel quadriennio 2008-2011, 2 milioni 598mila euro non autorizzati né giusticati. Quello che conta è che alla Camera e al Senato, furono presentati rendiconti falsi basati, stando ai consulenti della procura, su “macroscopiche e numerosissime irregolarità contabili“. E grazie a quei documenti il partito che fu guidato da Bossi, che firmava i bilanci, ed è oggi guidato dal ministro dell’Interno e vicepremier Salvini che lo ha ricandidato e a Pontida 2018 lo ha pubblicamente ringraziato, ottenne in totale quasi 76 milioni di euro per gli esercizi del 2008, del 2009 e del 2010. La legge 157/99 (poi sostituita dalla 96/2012), stabiliva che la liquidazione dei fondi (costituiti dai contributi volontari effettuati tramite destinazione del 4 per mille e parametrati al numero di voti ottenuti) fosse subordinata alla regolarità del rendiconto. Che doveva essere sottoscritto dal legale rappresentante o dal tesoriere, doveva essere accompagnato da una relazione del tesoriere sulla situazione economico patrimoniale del partito e sull’andamento della gestione nel suo complesso.

I giudici di primo grado: “Inferta ferita all’andamento della vita parlamentare”
Nelle motivazioni della sentenza di primo grado di Genova i falsi e la truffa allo Stato, per i giudici, sono provati e “poiché i cosiddetti rimborsi elettorali sono parametrati ai voti ottenuti e cioè a quello che rappresenta il partito nella vita politica, lo scopo del rendiconto e della disponibilità delle pezze giustificative è quello di rendere trasparente e verifìcabile quello che è l’agire del partito nello svolgimento della vita politica: solo da un rendiconto veritiero, completo e trasparente consegue la possibilità di controllare che il denaro del partito, ivi compresi i rimborsi pubblici, non sia stato impiegato a fini illeciti (per corrompere, per fare compravendita di voti, o altre iregolarità) ai quali – per usare le efficaci parole di un difensore ‘la mano pubblica si ribella’”. Per i giudici “è pacifico che il movimento Lega Nord per l’indipendenza della Padania abbia percepito, attraverso l’accredito sui conti correnti a esso intestato, il profitto dei reati commessi dai suoi rappresentanti, Bossi e Belsito, con il concorso di Aldovisi, Turci e Sanavio (i revisori, ndr)”. E in base all’articolo 322 ter del codice penale in caso di condanna va “ordinata” la confisca. Senza dimenticare “il vulnus inferto al corretto andamento dell’attività parlamentare nella gestione di risorse pubbliche finalizzate a favorire il corretto esercizio della vita democratica, di cui i partiti e Parlamento sono diretta espressione”. In attesa degli esiti del processo di secondo grado un’altra inchiesta su quei soldi è stata aperta sempre a Genova. A gennaio scorso l’ex revisore Aldovisi si è presenta in procura a Genova a dire la sua sulla gestione di Maroni e Salvini e da allora gli inquirenti indagano per riciclaggio. Un’inchiesta che ha portato a una perquisizione nella sede della banca Sparkasse a caccia di conti e del presunto tesoro.

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