di Francesco Giubileo e Francesco Pastore

In questi giorni, circola la bozza esemplificativa, di come cambieranno i Centri per l’impiego in Italia.

Gli addetti al settore e la tecnostrutture hanno già evidenziato le crepe e i difetti del nuovo modello. Eppure, ad entrambi gli autori di questo editoriale tali problemi sembrano assolutamente risolvibili. Lo diciamo nonostante le perplessità sulla legge di bilancio nel suo complesso. Qui circoscriveremo la nostre valutazione solo alla proposta di rivoluzione dei centri per l’impiego avanzata dal professore Mimmo Parisi.

Il modello proposto da Parisi che, per comodità, chiamiamo “Modello Mississippi” poiché segue da vicino quello dello stato americano del Sud, segue un disegno condivisibile e le slide di presentazione prefigurano un percorso di attuazione che consideriamo nel complesso chiaro e lineare. Avendo avuto l’occasione di confrontarci con l’autore in prima persona, cercheremo in queste brevi note di affrontare solo alcuni nodi più complessi della riforma.

Dalla Riforma Biagi (con Borsa Lavoro) al Jobs Act, il tentativo di creare una piattaforma a sostegno è sempre stata al centro dell’attenzione dei policy maker. La rivoluzione del modello che Parisi propone sta nell’aver posto la “piattaforma” web al centro del sistema e non più a supporto.

Questo cambia totalmente la logica del sistema, poiché permette al livello nazionale di veicolare completamente online i servizi pubblici per l’impiego. Tutto passerà attraverso la piattaforma disponibile anche per smartphone.

A differenza che in passato, il governo ha garantito un miliardo di euro per la migliore realizzazione della riforma. Ciò significa che sarà possibile effettuare un grosso investimento in termini di comunicazione, che potrebbe consentire al nuovo portale di indirizzo commerciale di raggiungere una “massa critica” sufficiente. Aggiungiamo noi che, attraverso un protocollo con il Miur, si possono anche caricare i curricula di tutti gli studenti che completano scuola/università. Questo significa che l’intermediazione virtuale riguarderà la maggioranza dei destinatari del Reddito di cittadinanza e anche dei destinatari degli altri ammortizzatori sociali, che tramite il portale potranno cercare lavoro, in analogia con il modello dell’universal job match del Regno Unito. Si noti che un meccanismo del genere funziona direttamente a livello nazionale ed è giusto che sia così. Non necessitano interazioni con Regioni o Province.

È chiaro che questo nuovo sistema completamente digitalizzato ci obbliga a ripensare completamente i centri per l’impiego: a cosa servono 50mila dipendenti e 500 centri per l’impiego, se buona parte delle interazioni avvengono tramite il portale o un call center? Viene meno l’esigenza di potenziare i centri per l’impiego. Sono necessari, piuttosto, degli hub (di cui si discuterà con le Regioni) che si specializzino nell’assistenza e accompagnamento al lavoro, tramite prenotazione (sempre come avviene ad esempio nel Regno unito) e possono certamente essere 1/5 o 1/10 degli attuali centri per l’impiego.

Anche gli adempimenti burocratici – le dichiarazione di disponibilità, gli adempimenti per Tirocini o Apprendistato – saranno quasi esclusivamente online. Negli hub, si forniranno solo servizi specialistici (qui saranno presenti psicologi e motivatori) i cui servizi saranno attivabili a seguito di prenotazione sul portale (come avviene per le visite specialistiche nella sanità).

Il rapporto con i privati non viene assolutamente cancellato. Gli attori privati potranno sicuramente collaborare in rete con gli hub all’interno di un sistema di accreditamento nazionale. Ovviamente si tratterà di progetti di assistenza intensiva e sicuramente non di modelli dove si rischia di “spazzare sul pulito”. Su questo punto sarà necessaria una ferrea contrattazione fra Stato e Regioni e forse effettivamente questo sarà uno dei passaggi più delicati da risolvere, ma attenzione stiamo parlando di un tema notevolmente ridimensionato dal ruolo svolto dalla piattaforma.

Gli hub saranno strutture specializzate, un centinaio in tutto il paese, distribuite in base al dato demografico, secondo la nostra valutazione. Il costo del Modello Mississipi sarà certo inferiore a quello di una ristrutturazione dei 500 Centri per l’impiego attualmente presenti. L’esperienza di altri paesi dimostra che i centri per l’impiego come li immaginiamo ora saranno sempre meno importanti come luogo fisico. Già ora, in Italia, sono pieni di disoccupati impegnati quasi solo in adempimenti amministrativi, più che nella ricerca di un lavoro.

La piattaforma sarà basata su un modello di interpolarità con il sito dell’Inps.

Un altro punto delicato è che se si vuole garantire un’offerta congrua di lavoro nel Mezzogiorno, buona parte delle politiche attive del lavoro dovranno tradursi in programmi di mobilità occupazionale.

Infine, ai critici della riforma suggeriamo un approccio ottimistico verso il modello proposto. Molti dei problemi avanzati sono emersi anche negli Stati Uniti e sono stati facilmente risolti. D’altronde se una pubblica amministrazione rema contro, ti dirà sempre due cose: il progetto c’è già o/e stiamo cercando di farlo; oppure il tuo progetto non si può fare perché ci sono dei problemi. Ecco questo è il principale problema di attuazione di questo rivoluzionario progetto di riforma dei centri per l’impiego: l’opposizione dei burocrati che sono conservatori per natura.

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