di Linda Maisto e Francesco Pastore

Il governo pensa al reddito di cittadinanza, ma sarebbe bene seguire anche altre strade. Se si rafforzasse il Rei (Reddito di inclusione), invece, una parte almeno dei 10 miliardi del reddito di cittadinanza potrebbe essere investita in un grande piano di assunzioni nel pubblico impiego. Restituire ai giovani un datore di lavoro, lo Stato, che per oltre un decennio è venuto meno dovrebbe essere una priorità.

Almeno così la pensa il Governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che ha deciso di rompere gli indugi e avviare il suo Piano lavoro con una delibera di giunta in approvazione il prossimo martedì 9 ottobre. La Campania si sta preparando a restituire una chance di occupazione nel pubblico impiego ai propri giovani. Il Piano dovrebbe portare da qui a pochi anni all’assunzione di diverse decine di migliaia di unità. In sintesi, la Regione farà un concorso per diverse figure professionali, molte con alti profili, per assicurare finalmente alla PA regionale personale con le competenze adeguate per svolgere una serie di servizi che al momento non riesce a svolgere.

Ingegneri e informatici saranno importanti anche per realizzare un’altra promessa elettorale di De Luca, quella di sburocratizzazione e digitalizzare l’offerta di servizi. I nuovi professionisti saranno assunti non solo nelle direzioni regionali, ma anche nei comuni e negli altri enti locali, Asl comprese che ne avranno fatto richiesta nel frattempo in base alla propria pianta organica. In sintesi, la Regione si assumerà il costo finanziario di selezione e formazione dei neo-assunti. 

In un post precedente, abbiamo auspicato che anche il governo faccia lo stesso come annunciato di recente dal Ministro, Giulia Bongiorno. Le assunzioni di personale qualificato nel settore pubblico potrebbero rilanciare anche il settore privato sia aumentando la produttività del lavoro pubblico che tenendo stabile la domanda interna.

La domanda interna ha subito diverse riduzioni negli ultimi tre decenni, ciò che spiega anche in buona parte la bassa crescita. Prima gli accordi di politica dei redditi del 1993 hanno contribuito a ridurre la quota dei redditi da lavoro sul Pil di oltre 10 punti percentuali in pochi anni. Poi la progressiva contrazione dell’occupazione nel settore pubblico che non ha significato una riduzione della spesa pubblica complessiva, ma sicuramente dei consumi. Infatti, ha portato alla riduzione di compensi da lavoro dipendente ad alta propensione al consumo a favore di redditi professionali a bassa propensione al consumo.

L’austerità non ha portato davvero a una riduzione della spesa e del debito pubblica, ma, paradossalmente, a un suo aumento e alla sua ristrutturazione in senso recessivo. Poi, durante i governi di centro-destra, si è spostata la tassazione dalla proprietà al lavoro, anziché il contrario come si è fatto invece in altri Paesi avanzati. Ciò ha fatto ulteriormente ridurre l’occupazione, nonostante l’espansione della spesa pubblica. In Italia, si parla troppo di aumento/riduzione della spesa pubblica e troppo poco della sua composizione e qualità.

Negli ultimi anni, il blocco del turnover nella PA in tutto il Paese ha ridotto al lumicino le chance dei giovani di trovare un lavoro stabile e di qualità. Il blocco del turnover è iniziato già con la finanziaria per il 2008, ma era ridotto al 60% delle uscite. Il dl 112/2008 ha ridotto le nuove assunzioni al 20% delle uscite. Da allora le PA sono state obbligate ad assumere solo 2 nuovi lavoratori ogni 10 che andavano in pensione. Una decimazione che in 10 anni circa ha portato a una riduzione del personale della PA di circa 300mila unità e a un invecchiamento drammatico dell’attuale personale. Si calcola che entro il 2020 si pensioneranno circa 500mila dipendenti in tutto il Paese, ma si potranno solo assumere circa 100mila nuove unità. La PA potrebbe scendere a circa 3 milioni di unità, meno di quasi tutti i Paesi europei. Una disgrazia per i giovani e per il Paese!

In alcuni settori, il forte indebitamento ha portato a un blocco totale delle nuove assunzioni. La sanità campana è un esempio drammatico. Il blocco totale è iniziato nel 2010 e ha significato che tutti i giovani medici campani che si sono specializzati nel frattempo hanno dovuto lavorare come precari, spesso anche solo volontari, trovare occupazione nel settore privato oppure in altra regione, con grandissimi sacrifici delle loro aspirazioni lavorative e anche chance professionali poiché da pendolari, si deve spesso rinunciare alla professione libera.

Poi ci sono gli effetti indiretti, come l’affollamento delle professioni libere da parte di tutti quelli che non trovano lavoro e la riduzione degli onorari e dei volumi d’affari per chi è entrato nelle professioni. Molti settori della PA sono ormai scoperti nella pianta organica. Ci sono interi reparti ospedalieri dove manca il personale specializzato la cui formazione richiede a volte decenni di esperienza. L’alternativa è spesso rinviare i pazienti alle cliniche private con un ulteriore aggravio di costi per la sanità pubblica che alla fine deve pagare. Sì, poiché il blocco delle assunzioni non significa necessariamente riduzione, ma in molti casi, aumento della spesa pubblica.

Nel 2020, il blocco del turnover dovrebbe venir meno. Quando ciò avverrà sarà come se si scoperchiasse una pentola in piena ebollizione da tempo. Bisogna prepararsi fin da ora. Occorre farlo bene, trasformando le nuove assunzioni nella PA in una grande opportunità professionale e di vita per i nostri giovani, ma anche per la PA e il Paese nel suo complesso.

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