di Linda Maisto e Francesco Pastore

È stato memorabile l’intervento del governatore Vincenzo De Luca, governatore della Campania, alla Festa dell’Unità di Ravenna di qualche giorno fa. Il moderatore dell’evento ha chiesto a De Luca quale fosse stato secondo lui il motivo dell’insuccesso elettorale del Pd alle ultime elezioni politiche e quali fossero le sue proposte per invertire la rotta. Con un’irruenza ed una chiarezza che certo non gli fanno difetto, De Luca ha parlato di due temi – lavoro e sicurezza – di cui uno, la sicurezza, ha alla fine, crediamo ingiustamente, superato l’altro nell’attenzione dell’opinione pubblica e nei media. Si cerchi su Google.

Ma il lavoro è il punto che, per ovvi motivi, interessa di più a chi scrive e legge questo blog. De Luca ha rimproverato i dirigenti Pd in modo durissimo perché negli anni scorsi, quando erano al governo, hanno fatto orecchie da mercante alle sue richieste di rimuovere il blocco delle assunzioni nel pubblico impiego previsto dalla legge Madia. Le prospettive di carriera di un’intera generazione sono state frustrate del tutto per non aumentare la spesa pubblica, ma in modo innaturale, poiché si è portato il paese ad avere meno di 3,5 milioni di dipendenti, meno degli altri paesi avanzati. Dal 2007 al 2015, i dipendenti pubblici in Italia sono calati di quasi 290 mila unità, scendendo ad un livello solo di poco superiore a quello spagnolo, come documentato in un recente articolo de lavoce.info. Ma la Spagna ha 46,6 milioni di abitanti, contro i 60,6 dell’Italia.

Il crollo è dovuto al blocco totale delle assunzioni in alcuni settori ed al recupero insufficiente del turnover in altri: ci voleva l’uscita di 10 dipendenti per assumerne 2. Questa decimazione della PA ha creato vuoti importanti nelle piante organico di molti settori.

Il trend di riduzione risale ai governi di centro-destra, ma continua sotto i governi di centro-sinistra. Entrambi i poli non si sono accorti che mentre nei primi anni 90, circa 30 giovani su 100 che trovavano lavoro, lo trovavano nel settore pubblico; invece oggi quella percentuale è scesa intorno al 7-8%. Mancano all’appello 23 giovani, 23 nuove famiglie che si sono rinviate di molti anni.

Questa politica ha favorito la crescita della disoccupazione, soprattutto giovanile ed intellettuale oltre a causare fenomeni diffusi di overeducation, vale a dire di laureati costretti a fare lavori per diplomati, e di redditi delle professioni libere che si avvicinano per molti giovani alla soglia della povertà. Anche il settore privato ha avuto difficoltà ad assumere, poiché la domanda interna era troppo debole.

De Luca fa bene a chiedere di sbloccare subito le assunzioni nel settore pubblico. Non si fa per il consenso, ma perché il Mezzogiorno e tutto il paese ne hanno un bisogno disperato. Di fronte al grido di disagio dei giovani, i governi precedenti hanno opposto rigide adesioni ai dettami europei. Perciò proprio nel Mezzogiorno la promessa di un reddito di cittadinanza, ancorché di difficile realizzazione, considerate le scarse risorse disponibili, è apparsa così convincente.

Ora sembra che ad eliminare il blocco del turnover sarà il governo gialloverde, con un dettato normativo incluso nel cosiddetto decreto concretezza dalla ministra Giulia Bongiorno. Le 450mila assunzioni nella PA annunciate più volte dai governi precedenti, ma mai realizzate, saranno realtà non nel 2020 quando il blocco del turnover previsto dalla legge Madia arriverà a naturale abrogazione, ma già nell’ormai vicino 2019.

Speriamo che il governo sia di parola, poiché davvero c’è bisogno di lavoro e la PA rappresenta un’importante datore di lavoro in un’economia mista. Una spesa pubblica che si traduce in redditi da lavoro, se quel lavoro aumenta la produttività, contribuisce a tenere alti i consumi e anche ad alimentare il settore privato, stabilizzando il reddito e l’occupazione complessiva. Negli ultimi anni, a causa della riduzione del personale della PA, i consumi interni si sono depressi, e, si badi, nonostante la crescita della spesa pubblica. Il blocco delle assunzioni, infatti, a parità di spesa, comporta che si è indirettamente consentito un trasferimento di risorse dagli stipendi ad altre forme di spesa a minore impatto sul Pil e l’occupazione. Infatti, si sono esternalizzati molti servizi prima forniti dal pubblico. I prezzi sono aumentati e la spesa è aumentata, alimentando redditi non da lavoro dipendente, che hanno una minore propensione al consumo.

Speriamo che finisca anche la colpevolizzazione della PA che ha portato all’attuale suo sottodimensionamento. Bisogna uscire dal dibattito PA sì o no e discutere della qualità del lavoro nella PA.

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