“Abbiamo risposto sempre, sempre rispondiamo e sempre risponderemo a ciascuna chiamata di soccorso“. Il comandante generale della Guardia Costiera, l’ammiraglio Giovanni Pettorino cancella ogni dubbio su quale è e sarà il comportamento dei suoi uomini dopo le polemiche di questi giorni. Adesso l’ammiraglio Pettorino chiarisce, attraverso l’Ansa, che la risposta è “un obbligo giuridico” ma anche “un obbligo che sentiamo moralmente” perché “tutti gli uomini di mare, da sempre e anche in assenza di convenzioni, hanno portato soccorso e aiuto a chi si trova in difficoltà in mare. Noi non abbiamo mai lasciato solo nessuno in mare”.

Toninelli: “Guardia Costiera è autonoma” – In mattinata, proprio Toninelli aveva spiegato che “la Guardia Costiera opera in condizioni di autonomia tecnico-giuridica, per cui non devo essere io a dire se deve rispondere oppure no agli sos. La Guardia Costiera non può intervenire nelle acque libiche. Negli ultimi anni, aveva aggiunto il ministro delle Infrastrutture, “anche per colpa delle scelte dei governi che ci hanno preceduto, la nostra Guardia costiera era costretta a intervenire su ‘chiamata’ delle navi ong o, addirittura, dai gommoni dei trafficanti“. E ai microfoni di Radio Anch’io ha concluso: “Noi non faremo morire nessuno. In caso di pericolo, come prescrive il diritto, la Guardia Costiera continuerà a intervenire, non servirà un mio ordine”.

“Ecco le norme, ma vanno cambiate. In corso un esodo” – L’ammiraglio ribadisce che sul punto degli Sos la normativa è chiarissima: “Noi continuiamo ad operare secondo quelle che sono le convenzioni internazionali del mare – spiega – Vale a dire la convenzione di Amburgo, in particolare, e la convenzione di Montego Bay. Convenzioni che l’Italia ha ratificato con legge e la cui applicazione, quindi, è obbligatoria. Per noi e per tutti i Paesi che le hanno firmate”. Quella di Amburgo, precisa Pettorino, “è nata per episodi che accadono una volta ogni tanto, non all’ordine del giorno” mentre “quello che sta accadendo adesso è invece un esodo epocale, biblico, con un intero popolo che si sposta o tenta di spostarsi via mare in un tratto breve ma pericoloso, con mezzi inadeguati e dunque occorre rivedere la Convenzione“. Nelle traversate del Mediterraneo, ha ricordato l’ammiraglio, “in questi anni sono morte migliaia di persone, partite con mezzi fatiscenti, non registrati, sovraffollati, senza dotazioni adeguate. Una situazione che, a quei tempi, gli estensori della Convenzione di Amburgo non pensavano potesse accadere”.

Cosa prevedono le convenzioni – Ma cosa prevedono queste convenzioni? “Il centro di soccorso che per primo riceve una chiamata – risponde l’ammiraglio Pettorino – deve intervenire. E questo fino a quando non subentra il centro di soccorso più vicino o il centro di soccorso competente“. In sostanza, chi riceve la chiamata, “deve operarsi subito affinché quella persona o quella nave in pericolo possano ricevere un soccorso utile”. E questo, ribadisce il comandante della Guardia Costiera, “noi lo abbiamo fatto sempre e continuiamo a farlo anche oggi”.

“Unici a soccorrere, ma sul Mediterraneo ci sono 23 Paesi” – “Abbiamo coordinato tutti i soccorsi in un’area di un milione e centomila chilometri quadrati che è praticamente la metà del Mediterraneo, eppure in questo mare si affacciano 23 Paesi. Lo ha fatto da sola la Guardia costiera – dice Pettorino – con il concorso di tutti quelli che ci hanno aiutato, mercantili, navi militari, tutti quelli che hanno risposto alle nostre chiamate. Adesso lo scenario sta cambiando perché sta intervenendo la Libia”. Fino a qualche mese fa a nord dell’Africa “non interveniva mai nessuno, noi eravamo il primo centro di soccorso ad essere chiamato e quindi iniziavamo subito l’intervento, avviando l’attività di Search and rescue (Sar) e informando tutti i Paesi vicini”. Ma “nessuno rispondeva – spiega ancora Pettorino – Negli ultimi tempi questo scenario è cambiato perché la Guardia Costiera libica ha iniziato ad effettuare dei soccorsi”.

“Ora Tripoli è abbastanza efficiente” – In sei mesi da Tripoli ha soccorso circa 10mila migranti: questo significa che stanno lavorando “in maniera abbastanza efficiente” anche se “c’è ancora molto da fare”, soprattutto per “la stabilizzazione del Paese”. La Libia, aggiunge “è un Paese che ha firmato la convenzione di Amburgo, che è riconosciuto dall’Onu, un Paese dove è presente da diversi mesi il nostro ambasciatore. Un paese, ancora, che ha individuato la sua area Sar e che è regolarmente registrata all’Imo“, l’agenzia per la sicurezza della navigazione delle Nazioni Unite.

“Dobbiamo comunicare ai libici le richieste di soccorso” – E dunque ogni volta che l’Italia riceve una chiamata di soccorso dalle coste libiche, è chiamata “per convenzione e per rapporti che intercorrono con quel Paese, a comunicare ai libici, che negli ultimi tempi intervengono in maniera abbastanza efficiente”. Il fatto che la Libia abbia cominciato ad operare nella sua area Sar, sottolinea ancora il comandante della Guardia costiera, “è avvenuto anche grazie al supporto del nostro Paese, della nostra Marina Militare e al supporto della Guardia Costiera italiana, che ha in corso un progetto voluto dalla Commissione europea con la Libia, nel quale il nostro compito è di implementare le capacità del Centro nazionale di soccorso libico”.

Sulla Lifeline: “Non abbiamo responsabilità” – Sulla questione della Lifeline, afferma Pettorino, “non abbiamo nessuna forma di responsabilità” perché “è intervenuta di sua iniziativa”. Sull’imbarcazione il ministro dei Trasporti, Danilo Toninelli, aveva parlato nei giorni scorsi di una possibile inchiesta di bandiera da parte della Guardia costiera italiana, per verificare eventuali irregolarità, nel caso in qui fosse entrata in acque territoriali. Questa inchiesta, spiega l’ammiraglio confermando quanto scritto da Ilfattoquotidiano.it, “presuppone che una nave militare di un Paese accosti una nave sulla quale ha sospetti sulla esatta nazionalità o su traffici illeciti. Noi questa operazione non l’abbiamo fatta, perché non è entrata in acque italiane“.

“Registrata come nave da diporto: bandiera illegale” – E sulla questione della bandiera olandese, ritenuta “illegale” dall’Olanda, spiega: “Abbiamo soltanto fatto delle verifiche, essendo un’unità che batte bandiera di un Paese europeo ed abbiamo scoperto che in realtà la Lifeline è un pleasure yacht, cioè un’imbarcazione destinata al diporto e le norme di quel Paese non danno l’autorizzazione a chi è iscritto a quei registri di innalzare la propria bandiera“.

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