E’ vero che una somiglianza neanche tanto vaga con Figaro c’è: quello che tutto risolve, che tutto combina, che tutto compone. Ma non è per questo che il nuovo presidente della Fondazione Rossini Gianni Letta, storico sottosegretario alla presidenza del Consiglio di tutti i governi Berlusconi, attivissimo anche nelle ultime trattative e nelle consultazioni per la formazione di una maggioranza nell’impasse nata dopo le elezioni del 4 marzo. Letta è stato scelto per un ruolo così importante per la città di Pesaro nell’anno del 150esimo dalla morte di Gioachino Rossini dal sindaco Matteo Ricci, dirigente nazionale del Partito Democratico, responsabile Enti locali nella segreteria formata un anno fa da Matteo Renzi e fedelissimo dell’ex segretario ora dimissionario. L’idea è stata del vicesindaco Daniele Vimini e Ricci l’ha subito accolta, perfezionando la trattativa con due colloqui diretti con Letta.

Letta, come l’altro amico di Berlusconi Fedele Confalonieri sempre presente alla Scala, è appassionato di opera lirica e, si fa notare, non è nemmeno la prima volta che si occupa di Rossini, visto che ha fatto parte anche del comitato promotore – presieduto da Napolitano – per le celebrazioni del 150esimo rossiniano. “Siamo molto orgogliosi di poter nominare un personaggio del livello culturale di Gianni Letta – ha detto Ricci al Resto del Carlino – Devo dire che l’intuizione di Daniele Vimini è stata molto azzeccata, consentendoci di avere un presidente di grande nome per una fondazione fondamentale per la cultura cittadina. Sinceramente non pensavo che potesse accettare, ma Rossini è un nome che apre molte porte”. Così come Letta, si potrebbe dire. Ed è un bel salto, non solo in termini di popolarità: dal presidente uscente Oriano Giovanelli, ex sindaco di Pesaro di formazione comunista, al collaboratore più stretto di quello che è stato per 25 anni il leader del centrodestra.

Segnali di una metamorfosi del Pd che non ha bisogno di ulteriori prove, ma secondo alcuni anche il primo venticello che invece che rappresentare una calunnia come nel Barbiere di Siviglia, porta tempesta dentro al partito in tutte le Marche, una delle cosiddette Regioni rosse che però – come la Toscana, l’Emilia Romagna, l’Umbria – sta cambiando pelle anno dopo anno. Fino al 4 marzo quando il partito è passato da 11 a 3 parlamentari eletti, mentre M5s e Lega hanno avanzato a passo di carica. In queste zone il Pd ha perso l’anno scorso il Comune di Fabriano, roccaforte merloniana, e ora vede a rischio per esempio Falconara, dove la sinistra si presenta, come spesso accade in queste zone, con tre candidati a sindaco e perfino perfino Ancona che va alla urne il prossimo giugno con la sindaca uscente Valeria Mancinelli, in corsa per il secondo mandato, che ha fatto sapere al partito di non volere la presenza di nessun rappresentante nazionale alle iniziative elettorali.

Nelle Marche l’ala renziana del partito, uscita con le ossa rotte per scelte catastrofiche nella formazione delle liste, ha fatto un altro passo avanti. All’inizio di maggio nessuno della corrente dell’ex segretario si è presentato all’assemblea regionale in cui il segretario Francesco Comi, in sintonia con il reggente nazionale Maurizio Martina, ha voluto nominare un vicesegretario ed evitare le dimissioni. Da Matteo Ricci fino alla deputata Alessia Morani, hanno tutti preferito parlare con la loro assenza evitando la conta che evidentemente li preoccupava. Sullo sfondo, le elezioni regionali dove si affaccia già da ora la candidatura del sindaco di Ascoli Guido Castelli, molto stimato anche in pezzi di centrosinistra.

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