È passato mezzo secolo dalla guerra in Vietnam ma quella in Siria la ricorda molto da vicino, soprattutto per le atroci sofferenze inflitte alla popolazione civile. All’epoca l’imperialismo parlava inglese, oggi parla russo e arabo, ma la strategia geopolitica è la stessa.

Tuttavia, dovrebbe colpire il fatto che in quegli anni di Guerra fredda non passava giorno senza che in qualche capitale dell’Occidente si tenesse una manifestazione antimilitarista, un corteo di protesta, un sit-in davanti all’ambasciata Usa con relativo bruciar di bandiere a stelle e strisce.

Quella era la generazione che ha fatto il Sessantotto, giovani idealisti che credevano nei valori universali dell’umanità. La guerra in Vietnam finì anche per merito loro.

Dove sono i giovani d’oggi? Perché per un giorno almeno non spengono lo smartphone e scendono in piazza compatti? A che serve avere tanti amici su Facebook se non si è capaci di coinvolgerli e mobilitarli per combattere una battaglia giusta? Non basta un tweet di condanna per sentirsi a posto con la coscienza. Non si può assistere alle efferatezze più disumane senza reagire.

La televisione ci ha anestetizzati al dolore e la politica si è ridotta ad un megafono della demagogia ma i giovani possono, devono, fare la differenza. Il loro futuro dipende solo da loro.

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