I poliziotti francesi potevano utilizzare “il locale della stazione che è a loro disposizione“, in base a un “accordo Italia-Francia del 1990 sulla cooperazione transfrontaliera”. Questo quanto sostiene Parigi riguardo ai controlli effettuati su un migrante dai loro agenti nel locale di Bardonecchia usato dalla ong Rainbow4Africa. Una versione, quella fornita dal ministro francese dei Conti pubblici, Gérald Darmanin, che sia la Farnesina che il Viminale, ritengono non soddisfacente e inesatta per un semplice motivo: i francesi sapevano che i locali della stazione dove è avvenuto il blitz non erano nelle loro disponibilità e che dunque non potevano utilizzarli per controlli e attività. A dimostrarlo c’è una mail di un funzionario della Dogana francese scritta il 13 marzo scorso a Rfi nella quale lamenta proprio l’impossibilità da parte degli agenti francesi di potere usare la sala di Bardonecchia “perché occupata da altra gente”. Quindi, il Viminale sta valutando l’opportunità di sospendere le incursioni all’interno di tutto il territorio italiano da parte del personale delle forze di polizia e dei doganieri francesi.

La versione francese – Sono circa le 19 di venerdì quando i doganieri entrano nel locale. Secondo la versione del ministro Darmanin, gli agenti “in uniforme” della brigata ferroviaria di Modane hanno individuato a bordo di un treno Tgv Parigi-Milano, un passeggero, di nazionalità nigeriana e residente in Italia, “sospettato di trasportare stupefacenti“. In base al codice doganale, prosegue la ricostruzione del ministro francese, gli agenti “gli hanno chiesto se acconsentisse a un test delle urine per individuare eventuali stupefacenti. L’uomo ha accettato per iscritto”.

Per realizzare questi controlli “in condizioni di rispetto della persona”, gli agenti hanno atteso che il treno arrivasse a Bardonecchia “per utilizzare il locale della stazione che è a loro disposizione”, in base a un “accordo Italia-Francia del 1990 sulla cooperazione transfrontaliera”. I doganieri, sempre secondo la ricostruzione dei francesi, hanno quindi chiesto e ottenuto di poter usare il bagno dello stesso locale. “Il controllo è poi risultato negativo. Tuttavia – spiega ancora il ministro in una nota – alcuni membri dell’associazione sono rimasti turbati da questo controllo e hanno chiesto che la persona controllata restasse con loro al termine del test”.

La nota della Farnesina – Ma, secondo la Farnesina, i poliziotti francesi in realtà sapevano di non poter entrare. “Il Direttore Generale Buccino – si legge in una nota del ministero – ha mostrato all’ambasciatore Masset lo scambio di comunicazioni intervenuto nel corrente mese tra Ferrovie dello Stato italiane e Dogane francesi, da cui emerge chiaramente come queste ultime fossero al corrente che i locali della stazione di Bardonecchia, precedentemente accessibili ai loro agenti, non lo siano più, essendo adesso occupati da una organizzazione non governativa a scopo umanitario”. “Peraltro – continua la nota – proprio per discutere insieme della questione, i due Paesi avevano deciso di incontrarsi presso la Prefettura di Torino il prossimo 16 aprile a livello tecnico”.

La ricostruzione della Ong – Di segno opposto a quella francese è inoltre la ricostruzione dei fatti di una testimone e dei legali vicini alle ong. Innanzitutto, secondo gli avvocati, l’accordo italo-francese sulla cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana in vigore è quello firmato a Chambéry il 3 ottobre 1997, non quello del 1990. E in ogni caso, spiegano i legali, l’intesa “non prevede l’imposizione di analisi mediche e accertamenti sanitari come quelli svolti venerdì sera a Bardonecchia”. Rispetto alla versione ufficiale dettata da Parigi, è profondamente diversa anche la ricostruzione dei fatti fatta da Caterina, una volontaria di Rainbow4Africa.

di Simone Bauducco

“Eravamo in questa stanza, sono arrivati all’improvviso, hanno fatto irruzione”, spiega la donna. Gli agenti francesi, a suo avviso, hanno costretto il giovane nigeriano a seguirli nel locale e a sottoporsi al test delle urine: “Veniva da Parigi ed era diretto verso Napoli non stava andando in Francia – sostiene – Tremava, aveva paura. Quando un nostro mediatore culturale ha fatto notare agli agenti che non si stavano comportando nel modo giusto, per risposta gli hanno detto di stare zitto”. I doganieri, sempre secondo Caterina, avrebbe fornito delle “basi” con le quali giustificare l’intervento diverse da quelle indicate dal ministro francese: “Hanno sostenuto che per una concessione delle Ferrovie del 1963 potevano utilizzare quel locale e hanno detto che non avevamo diritto di sindacare sul loro operato. È stato allora che abbiamo chiamato il sindaco e poi la nostra polizia”.

 

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