Partire per poi
tornare. Ampliare i propri orizzonti, cambiare prospettiva. Partire ancora. È questa la filosofia di vita che muove
Stefano Pujatti, architetto friulano classe ’68, e che oggi lo porta a vivere tra
Italia e
Canada, sempre alla ricerca di nuovi spunti e nuovi stimoli. “Dopo la laurea all’
Università di Architettura di Venezia sono volato a
Los Angeles per un master – racconta a
ilfattoquotidiano.it -, ero affascinato da quello che stava succedendo nella
West Coast ed ero alla ricerca di un modo diverso di vedere il futuro”.
Un’esperienza che ha influenzato molto la sua
carriera: “Ho trovato dei
maestri fondamentali, a cui mi sono ispirato e seguendo il loro esempio sono poi riuscito a costruire il mio percorso”, spiega. Finito il master nel 1994, vista l’aria di crisi che si respirava negli
Stati Uniti in quegli anni,
Stefano ha deciso di rientrare in
Europa. Prima
Parigi, poi il ritorno in
Italia, dove nel 1995 ha fondato lo
Studio Elastico: “Avevo voglia di vedere se quello su cui avevo lavorato poteva avere un
riscontro anche nel nostro Paese”, ricorda. Scelta che non ha mai rimpianto: “Mi sarebbe piaciuto rimanere negli
Usa, ma non posso
lamentarmi, perché anche qui ho avuto la
possibilità di fare delle cose di mio interesse”.
Avevo voglia di vedere se quello su cui avevo lavorato poteva avere un riscontro anche nel nostro Paese
Esperienze che gli hanno permesso di prendere parte tre volte alla
Biennale di Venezia e di aggiudicarsi alcuni riconoscimenti internazionali. Al lavoro pratico, poi, dal 2004 al 2013 ha affiancato l’insegnamento nella facoltà di
Architettura al
Politecnico di
Torino: “Lavorando come
docente a contratto ho realizzato che la
realtà accademica italiana tende a tagliare fuori i
professionisti – sottolinea -, cosa a mio parere sbagliata perché una
disciplina come l’architettura richiede sia la
dimensione teorica che quella pratica”.
Così, dopo quindici anni di vita in
Italia, ha deciso di rimettersi in discussione. E una proposta dall’
università di Toronto ha cambiato le carte in tavola: “Ho deciso di accettare l’incarico e sono andato a insegnare lì per due anni – racconta -, questo mi ha permesso poi di trovare nuove
collaborazioni, cosa che mi ha spinto ad aprire un’altra sede del mio studio lì”.
In
Canada, infatti,
Stefano ha trovato terreno fertile per le sue idee: “Sono un popolo molto
coerente e concreto, ma hanno una curiosità incredibile per la
cultura e per le novità artistiche – sottolinea -, e questo mi ha permesso di fare molte cose”. Tra queste, la possibilità di
focalizzarsi sul
cambiamento climatico: “È un tema che ho sempre avuto a cuore e lì ho avuto modo di portare avanti le mie
ricerche – spiega -, prossimamente a
Toronto realizzeremo la
Maison Glacé, una casa che si protegge dal freddo grazie a una crosta creata proprio dal ghiaccio”. Oggi
Stefano si divide tra l’Italia e il Canada. Le distanze non gli pesano, anzi, il sogno è quello di spingersi sempre più a ovest: “Mi piacerebbe tornare in
California, credo che il mio nido ideale sia lì, anche se non ho intenzione di abbandonare del tutto l’Italia – sottolinea -, lavorando all’
estero ho imparato ad apprezzare ancora di più le nostre
eccellenze e il nostro livello culturale”.
Che a suo parere, però, andrebbe
valorizzato meglio: “Le nostre
università sono ottime, ma spesso investono troppo sulla
parte teorica, invece ci sarebbe bisogno di
maggiore elasticità”, spiega. Soprattutto in un settore come quello dell’
architettura: “Il nostro è un
mestiere di esperienza e di energia – ammette -, oggi
tantissimi neolaureati hanno difficoltà a trovare lavoro perché durante gli
studi non hanno la possibilità di
mettersi alla prova con progetti più concreti né trovano degli
esempi da seguire a livello professionale”. D’altra parte, poi, anche gli studi di
architettura hanno delle difficoltà oggettive: “Le
condizioni economiche odierne non ci permettono di
fare formazione e questo ovviamente va a discapito dei più
giovani - sottolinea –, io ricevo tantissimi
curriculum e provo sempre a rispondere a tutti personalmente, spingendoli a non mollare, perché il nostro è un
mestiere bellissimo”. In cui però è necessario correre dei rischi: “Credo che se un giovane non riesce a trovare lavoro in
Italia la cosa migliore sia andare a cercare da altre parti – conclude -, sono convinto che non ha senso rimanere in un luogo solo perché si è nati lì, l’importante è trovare il
posto migliore in cui poter esercitare la propria professione”.