Restano fermi sulla linea dell’opposizione, almeno ufficialmente, ma la vera preoccupazione interna ora è quella di non finire “minoritari”. Il Partito democratico è la forza politica non pervenuta durante le elezioni dei presidenti delle Camere e ora, di fronte alle nuove trattative che si aprono per la formazione del governo, si pone l’interrogativo di come muoversi. “Noi”, ha dichiarato il segretario reggente Maurizio Martina intervistato a “In mezz’ora in più” da Lucia Annunziata su Rai3, “ascolteremo le indicazioni del presidente Mattarella, ma non voglio anticipare scenari che non mi competono. Non voglio neanche lontanamente strattonare il Capo dello Stato; e saremo con lui nella valutazione dello scenario. Calma”. Un ruolo messo in discussione da molti dentro il partito in queste ore: “Saremo senz’altro un soggetto protagonista, si può fare anche dall’opposizione”. E ancora: “Nessuna logica dell’Aventino, non è nella nostra storia. Dobbiamo avere l’umiltà di dire che non siamo più il centro del mondo e lo si è visto anche ieri”. Il segretario reggente ha anche escluso che nasceranno nuovi partiti alla Macron. Proprio Martina, come raccontato oggi da Wanda Marra sul Fatto Quotidiano, nella notte tra venerdì e sabato si è offerto a Luigi Di Maio dicendo che i suoi erano pronti a votare nomi scelti in comune: era già tardi per intervenire, ma si è quantomeno testato un dialogo interno che potrebbe essere significativo molto presto. Del resto, lo stesso Beppe Grillo, raccontano fonti vicine al comico a ilfattoquotidiano.it, non ha nascosto la sua amarezza di fronte all’atteggiamento di Aventino del Partito democratico. Insomma il clima è molto più disteso di quello che si pensa.

I renziani soprattutto, anche se è difficile dire chi lo sia ancora veramente, vogliono restare all’opposizione, ma i movimenti interni sono sempre più rilevanti. Se da una parte c’è l’ex senatore Fi che invoca il ritorno del patto del Nazareno, dall’altra a sinistra c’è chi prova a ribellarsi. Da segnalare ci sono ad esempio le parole del deputato dem Walter Verini, politico molto vicino a Walter Veltroni, che ha deciso proprio oggi di scrivere un editoriale sul’Huffington post in cui evoca la necessità di “un po’ di visione e un po’ di coraggio”: “Senza essere subalterni a nessuno dei ‘vincitori‘, ma senza nemmeno essere, pur in una condizione di minoranza, minoritari. Fino all’irrilevanza”. Verini parte ad esempio dal Senato, dove, dice “si sarebbe certamente potuto indicare profili adeguati”: “In quell’assemblea un nome sarebbe stato appropriato: quello di Emma Bonino. Nessuno avrebbe potuto accusare il Pd di manovre di basso profilo o di parte”. Un nome che secondo Verini avrebbe messo i 5 stelle di fronte a un bivio. “In questo quadro, se uno scenario come quello da me auspicato fosse andato in porto, per il vertice della Camera l’elezione di una figura espressa o dai 5 Stelle o dal Centro-destra avrebbe forse potuto avere ben altro percorso e ben altra condivisione”. E conclude: “Certo, forse una sfida di quel tipo sarebbe caduta nel vuoto. Ma un risultato ci sarebbe stato: far toccare con mano al Paese che c’è chi, pur colpito e ferito dal voto del 4 marzo si sforza di ragionare senza rancori, senza miopi atteggiamenti da “tanto peggio tanto meglio”, senza manovrismi correntizi”. I timori di Verini in realtà, secondo più fonti, sono condivisi da una parte sempre più consistente del gruppo, da Dario Franceschini a Graziano Delrio e naturalmente Andrea Orlando. A osservarli da non troppo lontano sono gli stessi 5 stelle che, chiusa la partita per i presidenti delle Camere, non hanno mai interrotto il dialogo con i democratici e non escludono di poter attingere da quel fronte per la formazione di un esecutivo a guida Di Maio.

Quello che si limita a chiedere per ora Martina, è che 5 stelle e Lega Nord indichino quali sono le loro intenzioni. Segno che, Aventino o meno, restano in disparte a cercare di capire le mosse degli altri. “Da ieri”, ha detto a Lucia Annunziata, “c’è un fatto politico nuovo e chiedo chiarezza alle forze che ieri hanno deciso di fare quell’operazione e non mi si dica che la partita delle scelte presidenti di Camera e Senato è distinta dal governo. Adesso la prova della responsabilità spetta a chi ha vinto il 4 marzo, dicano senza ambiguità dove vogliono parare”. E ancora: “Il linguaggio della Lega e dei Cinquestelle di queste ore è ancora fintamente differente anche dal punto di vista delle prospettive di governo, ma in realtà stanno ragionando di questo. Lo dicano chiaramente, lo spieghino, dopo aver raccontato che non avrebbero mai fatto alleanze. Ci dicano precisamente dove vogliono andare”.

Il percorso per il Pd è tutto fuorché semplice. Intanto il primo scoglio sarà quello dell’elezione dei nuovi capigruppo, scelta su cui ancora una volta rischiano di spaccarsi. “Mi sento responsabile di una scelta unitaria sui capigruppo”, ha detto Martina sempre su Rai3. “Bisogna scegliere le persone giuste in un momento come questo e fare tutti uno sforzo unitario. A un certo punto andrà fatta una proposta, nelle prossime ore. E andrà chiesto ai gruppi (parlamentare, ndr) di capire l’importanza di un progetto unitario in questo momento”. Nei giorni scorsi era intervenuto Luigi Zanda, dichiarando che non dovranno essere due “renziani” per segnare una discontinuità. Proprio Zanda era uno dei nomi dato come possibile candidato di convergenza tra 5 stelle e Pd nelle ore di trattative per il Senato e, sempre lui, secondo quanto riportato da Repubblica oggi, avrebbe detto che il rischio del Pd è quello di “essere liquidato” come Forza Italia.

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