Per il 4° giorno consecutivo il regime siriano ha bombardato la Ghouta orientale, sobborgo di Damasco in cui 400mila persone vivono sotto assedio dal 2012, e salgono a circa 300 i civili uccisi da domenica. Tra questi almeno 72 bambini e 45 donne. Per la quarta giornata consecutiva l’aviazione di Bashar Al Assad ha sganciato sull’enclave a est della capitale in mano ai ribelli non solo bombe, ma anche barili-bomba, arma il cui utilizzo è denunciato dalle Nazioni unite, provocando 38 nuove vittime civili noncurante delle proteste internazionali con cui si chiede di fermare il bagno di sangue.

Il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, si dice “profondamente allarmato” e chiede lo stop immediato dei combattimenti, mentre la Croce rossa chiede di accedere all’area per portare soccorsi ai feriti. La Russia nega il coinvolgimento nei raid, ma Germania, Francia e anche l’Italia chiedono ai Paesi del formato di Astana (cioè Russia, Iran e Turchia) di impegnarsi per fermare la tragedia.

Nel 2017, infatti, nella capitale del Kazakistan era stato negoziato un accordo di cessate il fuoco che coinvolgeva proprio Ghouta Est. Si tratta dell’ultimo bastione controllato dall’opposizione vicino Damasco: il regime di Assad, che lo tiene sotto assedio dal 2012, ha lanciato il 18 febbraio una campagna aerea, nel corso della quale sono anche stati colpiti e messi fuori uso diversi ospedali. Secondo il quotidiano Al-Watan, vicino al governo siriano, “un preludio a un’operazione terrestre, che potrebbe cominciare in ogni momento”.

Già il 5 febbraio l’esercito aveva condotto dei raid aerei di intensità inedita sulla Ghouta, provocando circa 250 morti in cinque giorni fra i civili e centinaia di feriti; colpi lanciati in risposta dai ribelli contro Damasco avevano provocato una ventina di morti. In passato il regime è riuscito a riprendere il controllo di diverse località ribelli intorno a Damasco in base ad accordi che hanno previsto l’evacuazione dei combattenti in cambio della fine di bombardamenti e assedi.

Secondo Andrea Iacomini, portavoce di Save The Children, “se le notizie sugli ultimi attacchi aerei nel Ghouta Orientale saranno confermate, ieri in Siria sono morti altri 100 civili, di cui decine di bambini. Bambini che si uniscono ai 60 uccisi nel solo mese di gennaio e alle migliaia di vittime di questa guerra. È un eccidio peggiore di quello di Aleppo”. La ong ha fatto sapere che “domenica sono stati colpiti quattro ospedali. Nei rifugi sotterranei i bambini sono senza acqua e servizi igienici, esposti al rischio di contrarre malattie”. “Le strade sono completamente deserte a parte le sirene delle ambulanze che trasportano i feriti in cliniche di fortuna. In alcune zone del Ghuta orientale la distruzione degli edifici e dei servizi ha raggiunto livelli impressionanti, ancor più gravi di quelli registrati durante il picco della crisi di Aleppo nel 2016″.

Iacomini prosegue: “Sette anni di guerra hanno portato la Siria al collasso: nel Ghouta orientale, dove vive il 95% dei siriani sotto assedio oggi, mancano i servizi fondamentali come scuole ed ospedali e i beni di prima necessità come cibo, acqua e medicine. È una vera emergenza umanitaria”. “Solo negli ultimi mesi – aggiunge – la malnutrizione è aumentata di cinque volte, centinaia di bambini sono gravemente malati e hanno bisogno di lasciare la città per essere curati». «È una continua lotta per la sopravvivenza – conclude – è una continua strage di innocenti. Fermiamoci un secondo e torniamo a guardare quello che accade in Siria. La guerra non è finita e l’indignazione a intermittenza non è bastata per fermare questa strage di bambini. Dobbiamo unirci e dire basta a questo massacro. I bambini, ovunque essi siano in Siria, devono essere protetti. Da tutti”.

Prima della Ghouta orientale, diverse aree, come la città di Homs nel 2012 o Aleppo nel 2016, sono state schiacciate dai bombardamenti e da un assedio asfissiante imposto dal regime per costringere i ribelli a deporre le armi e i civili a fuggire. Il conflitto in Siria, scoppiato il 15 marzo 2011, ha fatto più di 340mila morti. Inizialmente ha visto opporsi i ribelli al regime, poi invece il quadro è diventato più complesso, con il coinvolgimento di gruppi jihadisti e potenze straniere. Grazie all’intervento della Russia nel 2015 il regime di Assad, che si trovava in una posizione difficile, è riuscito a riprendere il controllo di oltre la metà del territorio, moltiplicando le vittorie sia sull’opposizione armata che sui jihadisti.

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