Un nome altisonante, un fondo mezzo vuoto e tante polemiche: è tutto ciò che resta del più renziano dei provvedimenti dell’ultima legislatura per il mondo dell’Università. Le contestatissime Cattedre Natta, i 500 super professori di nomina governativa, probabilmente non vedranno mai la luce: con quei soldi, il governo ha preferito dare un piccolo contentino ai docenti che ci sono già (2mila euro a testa, centesimo più centesimo meno), nella speranza di placare le loro proteste per il blocco dello stipendio e scongiurare un nuovo sciopero.

La misura è stata inserita nella legge di Bilancio durante il passaggio in commissione alla Camera con un emendamento a firma Pd, che punta a rispondere alla rivolta che da mesi va avanti negli atenei per il mancato rinnovo del contratto degli accademici. Il governo aveva già varato la trasformazione degli scatti di anzianità da triennali a biennali (estesa pure ai ricercatori). Adesso arriva anche un “meccanismo di parziale compensazione” relativo al periodo 2011-2015, che restituirà ai docenti un pochino di quanto perso negli ultimi cinque anni.

Più che di una vera è propria ricostruzione di carriera (non se ne parla: costerebbe troppo), si tratta dell’ennesimo bonus del governo Renzi-Gentiloni: un importo “ad personam una tantum”, erogato in due rate a inizio 2018 e 2019, dal valore compreso tra i 2.572 e i 2.250 euro a testa, a seconda dell’entità del blocco stipendiale subìto. Un decreto ministeriale definirà i criteri precisi nelle prossime settimane, subito dopo l’approvazione della manovra.

Più dell’obolo concesso agli accademici nel tentativo di tenerli a bada, però, la vera notizia sembra essere dove il governo è andato a pescare le risorse, in tempi di magra per il mondo dell’istruzione. Il bonus non sarà astronomico, ma moltiplicato per decine di migliaia di docenti (i beneficiari secondo la relazione tecnica dovrebbero essere tra i 35 e i 45mila), fa comunque una bella cifra: 50 milioni di euro nel 2018, 40 nel 2019. Che saranno finanziati con i soldi delle Cattedre Natta. Parliamo dei 500 posti per “super professori”, eccellenze del mondo accademico che avrebbero dovuto andare ad arricchire l’università italiana, senza passare da concorsi, scavalcando i noiosi paletti della burocrazia e della legge, scelti da una commissione di nomina governativa, pagati con uno stipendio più alto della media.

Un’idea molto renziana del merito accademico, che aveva fatto arrabbiare tutti, professori e rettori, persino il Consiglio di Stato, che aveva mosso diversi rilievi a un provvedimento lesivo del principio dell’autonomia dell’Università. Al punto da bloccare tutto quanto. Concepito a fine 2016, il piano era scomparso dai radar per oltre un anno: lo scorso maggio la ministra Valeria Fedeli aveva dato notizia della ripartenza dell’iter. Ora invece verrà accantonato. Forse definitivamente.

La maniera più indolore per archiviarlo, senza esporsi all’ulteriore figuraccia di una marcia indietro palese, è svuotarlo di risorse. Ed è appunto quello che ha appena fatto il governo, stornando il 60% del fondo in favore del bonus docenti. Non è neanche la prima volta che ciò accade in questa manovra, visto che l’esecutivo aveva già pescato a piene mani in quello stanziamento per finanziare il diritto allo studio (8 milioni) e le borse di dottorato (5 milioni). Dei 75 milioni originari per 500 super professori, dunque, ne restano ora appena una decina, che basterebbero si e no per 80 cattedre. Più probabile che non se ne faccia più nulla, e che le ultime briciole vengano riciclate nei prossimi mesi su altri progetti. La controprova che con quei soldi si potevano davvero fare cose molte più utili  per l’università italiana delle cattedre Natta.

Twitter: @lVendemiale

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