Ephraim Kishon è nato il 23 agosto 1924 a Budapest col nome di Ferenc Hoffmann, ed è mancato il 29 gennaio 2005 ad Appenzell (in Svizzera). È riuscito ad arrivare a 80 anni, un traguardo insolito per chi ha trascorso un passaggio negli alberghi della morte.

Una volta si è salvato perché il comandante del Lager cercava un avversario col quale giocare a scacchi, un’altra perché nella fila si sparava a uno su dieci e lui non era il decimo. Durante il trasporto al campo di sterminio di Sobibor, riuscì a fuggire, facendosi poi passare per un lavoratore slovacco. Dopo la guerra, rimase in Ungheria fino al 1949, quando decise che non era meritevole di beneficiare del fantastico regime comunista che nel frattempo aveva preso il potere, sicuramente con metodi eticamente impeccabili, ed emigrò in Israele.

Dal punto di vista linguistico, quando emigrò non conosceva l’ebraico, ma in Israele lo apprese rapidamente e lo apprese così bene da diventare, col nuovo nome di Ephraim Kishon e scrivendo in ebraico, uno dei migliori umoristi al mondo, autore di moltissimi libri, commedie e film. È stato pubblicato e rappresentato dovunque. Anche in Italia, ma non a sufficienza, viste le sue doti riconosciute, e le traduzioni di molti dei suoi 50 libri in ben 37 lingue.

È alquanto paradossale che dopo quelle terribili esperienze gli sia rimasta la voglia di ridere o, semmai, di far ridere. Quanto a paradossi, gli parve sempre buffo che in Germania i nipotini dei suoi boia facessero la fila per acquistarne i libri. Nel 2002, quando vinse il Premio Israel, il maggior riconoscimento culturale israeliano, si meravigliò che glielo avessero dato pur essendo pro- israeliano, perché a suo avviso lo assegnavano soltanto a israeliani anti-israeliani.

Ha avuto il tempo di fare pure una breve ma incisiva incursione nello scibile economico, spiegando (ovverosia denunciando) che gli asiatici avevano conquistato il mercato mondiale con metodi sleali, ossia, lavorando durante le ore lavorative. Rimase per tutta la vita un fervente sionista, sia pur critico del governo e contrario all’establishment culturale israeliano di sinistra. Emigrò negli anni ottanta in Svizzera, dove risiedette fino alla sua morte.

Rimane l’esempio di un uomo che avrebbe potuto vivere nella disperazione per quanto accadutogli, ma che preferì essere positivo al punto tale di diventare uno dei maggiori umoristi al mondo. Quando morì il suo traduttore tedesco, scrisse le sue opere direttamente in tedesco. Positivo, anticonformista, geniale. Cos’altro chiedere? Qualcuno dei suoi libri potrebbe essere ancora reperibile in italiano. Varrebbe la pena provare a conoscerlo.

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