In Veneto e in Lombardia il referendum sull’autonomia ha visto trionfare il , ma non ha alcun valore vincolante per lo Stato. Il governatore Roberto Maroni, che ne è consapevole, subito dopo il risultato della consultazione si è prenotato per “un lavoro comune” con il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Sì, perché la via emiliana ha “bruciato” sul tempo le due regioni leghiste. Bonaccini, mercoledì scorso, ha firmato con il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, una dichiarazione di intenti che porterà a un percorso condiviso sull’autonomia: nelle prossime ore sarà convocato un tavolo. Questo è esattamente l’iter previsto dalla Costituzione per attribuire alle Regioni ulteriori “forme e condizioni particolari di autonomia” ed è la strada che dovranno percorrere, inevitabilmente, anche la Lombardia e il Veneto. Così, anche se nelle due regioni leghiste le spinte che puntano ad avere maggiore autonomia da Roma sono molto precedenti rispetto a Bologna, sul fronte della trattativa col governo la regione di Bonaccini è in vantaggio. Un dettaglio fondamentale visto che si tratta di un passaggio obbligatorio.

È per questo motivo che il leader del Carroccio, Matteo Salvini, ha invitato i leghisti Luca Zaia e Maroni ad andare a Palazzo Chigi insieme al dem Bonaccini, per far fronte comune. Il governatore emiliano ha fatto sapere che l’ipotesi non “lo disturba affatto” e di non avere “nessun problema” a sedersi con Maroni e Zaia, chiedendo provocatoriamente al suo collega veneto di chiarire prima se ha come obiettivo maggiore autonomia o la secessione. Ma cos’ha di diverso il percorso emiliano-romagnolo da quelli di Venezia e Milano? Intanto nasce direttamente in Assemblea legislativa, saltando la consultazione cittadina, ma dopo un confronto con città, territori, parti sociali (che Bonaccini vuol portare anche a Roma per trattare col Governo), organizzazioni economiche, università e Terzo settore.

Solo dopo questi passaggi il governatore ha ricevuto il mandato dalla Giunta, e ad ottobre dall’Assemblea regionale, per andare a trattare con Gentiloni. Le prossime tappe saranno la presentazione alle Camere del disegno di legge che recepisce l’accordo tra governo ed Emilia-Romagna e l’approvazione a maggioranza assoluta del progetto di legge. “È giusto premiare le Regioni con i conti in ordine e un alto tasso di efficienza nei servizi  – ha spiegato il presidente – Le ulteriori competenze che chiediamo ci permetteranno di investire e fare ancora meglio in quattro ambiti: lavoro e formazione, impresa, ricerca e innovazione, tutela della salute, territorio e ambiente”. È proprio in queste quattro aree strategiche che l’Emilia-Romagna chiede al Governo maggiore autonomia. Il Veneto e la Lombardia, invece, non hanno indicato nel quesito referendario materie particolari ma hanno scelto una formulazione generale.

Ma perché, allora, le due regioni hanno intrapreso la strada del referendum? Una consultazione che implica un passaggio ulteriore prima delle trattative con il Governo e che è costata 50 milioni di euro alla Lombardia e 14 al Veneto? Per una motivazione puramente politica. Il risultato del referendum, infatti, ha un peso che rafforza la posizione della Lega al tavolo degli alleati di centrodestra. E poi le due regioni sono convinte che i voti del referendum possono trasformarsi in più potere contrattuale nella trattativa con il governo.  “Senza il referendum, Bonaccini adesso a Roma è più debole , non doveva rifiutare di mettere al centro l’opinione dei cittadini emiliano-romagnoli”, attaccano Raffaela Sensoli e gli altri consiglieri regionali del M5s in Emilia-Romagna. Ad avere un potere contrattuale più consistente a Palazzo Chigi sarà soprattutto il Veneto, dove il 57,2% dei cittadini ha votato al referendum con una percentuale a favore del Sì superiore al 95%. Non è un caso se Zaia non ha chiesto all’Emilia-Romagna di lavorare per una comune trattativa col Governo (come invece ha fatto Maroni che ha incassato percentuali più basse) ma ha scelto di andare dritto per la strada dell’autonomia fiscale e del riconoscimento dello statuto speciale. Nonostante tutto, però, non è detto che alla fine tutto questo si traduca in maggiore autonomia. I milioni per la consultazione popolare, invece, sono già stati sborsati.

IL DISOBBEDIENTE

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