Loro lo chiamano trionfo, gli avversari osservano in silenzio già con il fiato corto in vista della campagna elettorale. Sarà anche che per un attimo la Lega Nord aveva sognato di portare ancora più persone alle urne per l’autonomia, ma la cronaca del giorno dopo è indubbiamente quella di una vittoria. Al referendum Veneto e Lombardia hanno scelto di schierarsi: rispettivamente 98,1 per cento Sì (affluenza al 57,2%) nel Nordest e 95,3% (affluenza del 38,25%) nelle terre lombarde. Se non è un plebiscito, poco ci manca. Tanto che Matteo Renzi all’inseguimento ha annunciato: “Propongo un patto tra i partiti per la riduzione delle tasse”. Il vincitore morale e materiale è il governatore Luca Zaia: raccoglie il plebiscito e fa approvare nel giro di poche ore ai suoi una legge che chiede di inserire la Regione tra quelle a Statuto speciale. Arranca dietro il collega di partito Roberto Maroni: ha dovuto gestire la figuraccia del voto elettronico che al suo debutto ha fatto più ritardo che altro, ma pure per lui è una vittoria. Che cosa significa nel concreto? Poco. Il governo ha detto che “è pronto a trattare”, ma come ha specificato il ministro all’Agricoltura Maurizio Martina ad urne ancora calde “si parla su tutto ma non sul fisco”. I leghisti, forti dei voti che ora prendono come legittimazione popolare, vogliono chiedere tutto: ovvero vogliono trattare sulle 23 materie previste dalla Costituzione e ottenere più autonomia senza condizioni.

 di Alessandro Sarcinelli

La verità è che il federalismo è solo una delle questioni sul tavolo. Il referendum fa segnare un punto a quella coalizione di centrodestra che tanto punta sulle prossime politiche. Guarda caso, chi è corso a mettere il cappello sul risultato, preoccupato per il nuovo leader che gli cresce in casa (vedi Zaia che intanto ha giurato e spergiurato non lascerà il Veneto), è stato il segretario del Carroccio Matteo Salvini. Nel corso di una conferenza stampa da via Bellerio, ha dichiarato: “E’ stata una lezione di democrazia per tutta Europa, abbiamo scelto la via legale, pacifica e costituzionale. La stessa opportunità la offriremo da Nord a Sud a chi ce lo chiederà”. Quindi il suo grido di vittoria: “Il popolo ha vinto 5 a 0 sui poteri forti. Il silenzio di queste ore di Renzi e Grillo, che parlano di tutto e su tutti, è abbastanza particolare”. Si espone anche Silvio Berlusconi che a quegli alleati guarda con ansia e preoccupazione da settimane: ci è voluto tempo perché lui si schierasse a fianco di chi promuoveva l’autonomia, ma ora ci tiene a mettersi in scia pur tranquillizzando l’elettorato moderato. “Bene il federalismo”, ha detto in una nota, “ma non ci mettiamo contro l’unità nazionale. E’ necessario che da questo voto nasca un processo di riforma federalista, che avvicini le scelte di governo alla gente. Non è un risultato che vada contro l’unità nazionale, che per noi è sacra, né contro le altre regioni: sono convinto al contrario che se Lombardia e Veneto potranno crescere più velocemente, tutto il Paese ne guadagnerà”. Nella corsa dei leader ad accreditarsi a livello nazionale ci si è messo pure Maroni: l’eterno secondo, nel corso della sua conferenza stampa arrivata per ultima, ha detto di aver parlato al telefono con il premier Gentiloni. “Mi ha confermato il via libera al confronto su tutte le materie previste dalla Costituzione, con anche il coinvolgimento del ministero dell’Economia”.

Il silenzio di Matteo Renzi è durato solo fin dopo l’annuncio dei risultati. Il Pd ha gestito la campagna elettorale tra confusione e ambiguità. Il sindaco di Bergamo Giorgio Gori ad esempio è stato tra i sostenitori del Sì, il primo cittadino di Milano Beppe Sala pure ma non si è presentato alle urne. Oggi il segretario cerca di mettere anche la sua firma tra chi difende l’autonomia: “Il risultato in Lombardia e, soprattutto in Veneto non va minimizzato“, ha scritto su Facebook. “Il messaggio è serio: si chiedono più autonomia e più efficienza, maggiore equità fiscale, lotta agli sprechi a livello centrale e periferico. Il modo corretto per affrontare il futuro, per me, non è solo la procedura ex art. 116 Costituzione come chiedono i governatori (anche dell’Emilia Romagna), ma prendere atto che in Italia esiste una gigantesca questione fiscale. Ridurre la pressione fiscale: questa è la vera priorità”. Ma Renzi è anche andato oltre: “Mi piacerebbe”, ha detto, “che la prossima legislatura cominciasse con un accordo delle forze politiche per un progetto come quello che abbiamo lanciato noi (‘Tornare a Maastricht’) che permetterebbe la riduzione annuale delle tasse per una cifra che può variare tra i 30 e i 50 miliardi di euro. Hanno spesso ironizzato dicendo che ridurre le tasse non è cosa di sinistra. Io penso al contrario che oggi la riduzione delle tasse sia un’esigenza di tutti, specie dei ceti più deboli”.

Capitolo a parte meritano i 5 stelle. Stando alle analisi dell’Istituto cattaneo, l’elettorato grillino ha appoggiato in larga parte il Sì al referendum sia in Veneto che in Lombardia. Ma i leader nazionali si sono guardati bene dal commentare eccessivamente quella che resta una vittoria della Lega Nord. Silenzio dei vertici, silenzio di Beppe Grillo quindi. In Lombardia ha parlato il gruppo guidato da Stefano Buffagni dicendo che se “la materia fiscale” sarà inserita nel provvedimento discusso in consiglio, loro si opporranno perché si tratta di una “strumentalizzazione”. Poco meno di più su bacheche Facebook e note dei 5 stelle che preferiscono sperare che l’ondata positiva per gli altri passi in fretta.

Sull’autonomia intanto si sono espressi tutti. Tanto che pure dai vescovi è arrivato un avvertimento. “Il nostro obiettivo”, ha detto monsignor Filippo Santoro, vescovo di Taranto e colui che ha introdotto il convengo della Cei a Cagliari, “non può essere quello di spezzettare il Paese in tante regioni. Serve una logica inclusiva anche se certe attribuzioni alle Regioni sono utili e necessarie. L’importante e mantenere una logica unitaria e un’attenzione al Mezzogiorno il cui sviluppo è utile al Paese intero”.

I RISULTATI
In Veneto il sì ha prevalso con il 98,1% del referendum del Veneto sull’autonomia. A diffondere il dato definitivo è stato il sito del consiglio Regionale. I no sono stati l’1,9%, ovvero 43.938. Ad andare ai seggi sono stati 2.328.949 elettori, pari al 57,2%. I voti validi sono stati 2.317.923, le schede bianche 5.165 pari allo 0,2%, le schede nulle 5.865 pari allo 0,3% e quelle contestate 9. Molto più complicata l’analisi dei voti in Lombardia dove si sperimentava per la prima volta il voto elettronico. Ci sono volute più di dodici ore per avere i risultati definitivi, con problemi segnalati su 300 chiavette. In totale sono stati 3.010.434 i lombardi che hanno votato al referendum per l’autonomia della Lombardia. Sul sito della Regione sono stati caricati i dati definitivi: 95,29% sì; 3,94% no e 0,77% schede bianche. Al voto sono andati il 38,25% degli elettori. La provincia in cui si è votato di più è stata Bergamo con il 47,37%, quella con l’affluenza più scarsa la città metropolitana di Milano con il 31,20%.

Cosa succederà ora? La Carta prevede la possibilità di trattare una maggiore o minore autonomia della Regione nell’ambito di ventitré materie. L’Emilia Romagna negli ultimi mesi ha attivato un percorso istituzionale proprio per lavorare in questo senso, mentre Lombardia e Veneto hanno preferito prima agire con un referendum di tipo consultivo. Ora le tre Regioni si siederanno allo stesso tavolo con l’esecutivo, anche se i governatori leghisti rivendicano la scelta di aver chiesto il parere ai cittadini e quindi “di essere maggiormente legittimati”. Zaia ha già specificato di voler chiedere che il Veneto sia considerata Regione a Statuto speciale proprio come la Valle d’Aosta.

REGIONI-GOVERNO, SCONTRO O TRATTATIVA?
Risultati del referendum per l’autonomia in mano, il governo ha scelto per il momento la strada dell’apertura: “Siamo pronti a trattare”, ha detto poco dopo la mezzanotte il sottosegretario agli Affari regionali Gianclaudio Bressa. Una mediazione che, fanno sapere dall’esecutivo, non era in discussione neppure prima del referendum. A ridimensionare le feste ci ha pensato però il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina nonché segretario Pd che in campagna elettorale aveva invitato all’astensione: “Zaia e Maroni potranno avviare lo stesso percorso di confronto aperto dal presidente emiliano Stefano Bonaccini“, ha detto in un’intervista a Repubblica, “ma le materie fiscali non sono e non possono essere materia di trattativa né con il Veneto, né con la Lombardia e neanche con l’Emilia Romagna. Non lo dico io: lo dice la Costituzione, con gli articoli 116 e 117 che indicano chiaramente gli ambiti su cui ci può essere una diversa distribuzione delle competenze”. Zaia, galvanizzato da risultati e affluenza nella sua regione, ha subito replicato: “Io ero rimasto al punto”, ha detto a Rtl 102.5, “e lo dico anche da ex ministro, che Martina si occupa dell’agricoltura e penso che il nostro interlocutore sia il presidente del Consiglio. Ma non c’è alcuna volontà di cercare la rissa”.

Secondo il ministro Martina inoltre, bisogna parlare di sconfitta di Maroni: “Il dato del Veneto è sicuramente un messaggio chiaro: è un mandato degli elettori, di cui ho grande rispetto, ad aprire una trattativa. Ma per quanto riguarda la Lombardia parlerei, al contrario, di una sconfitta. Nello specifico, di una sconfitta di Maroni. Il 22 agosto, in una intervista, diceva testualmente che ‘l’asticella del successo è fissata al 51%’, poi l’ha abbassata. Resta il fatto che la maggioranza dei lombardi ha ignorato le sue sirene e non ha creduto alla propaganda leghista sul residuo fiscale”. Adesso potrà partire “una discussione e, in caso di accordo, questo andrà votato dal Parlamento con una legge”, ha spiegato Martina. “Credo sia giusto discutere con alcune regioni su chi deve gestire determinate materie: ma nell’ambito di una idea federalista equilibrata, cooperativa. E con un referendum consultivo da fare magari a valle del percorso, avendo già lavorato a un testo chiaro”.

CONTRACCOLPI LEGA: ZAIA STRAVINCE, SALVINI CERCA DI METTERCI IL CAPPELLO
La Lega festeggia per un referendum che fin dall’inizio è stato sotto la sua bandiera. Ma neppure nel giorno della vittoria possono stare tranquilli: chi può festeggiare è sicuramente Zaia, mentre arranca appena dietro Roberto Maroni. Il segretario Matteo Salvini non vuole di certo stare a guardare mentre gli cresce un leader in casa, tanto che è stato proprio lui il primo a organizzare una conferenza stampa: “Quelli che dicevano che la linea nazionale della Lega avrebbe trovato problemi al Nord non ha capito un accidente”, ha esordito. “Le richieste di autonomia hanno convinto 5,5 milioni di persone a votare e Maroni e Zaia avranno pieno mandato”. Per Salvini “è una bellissima giornata di sole”: “Cinque milioni e mezzo di cittadini che ieri hanno scelto di votare ci dicono che per il futuro dell’Italia c’è da sperare e che le riforme partono dal basso nonostante i poteri forti. E’ stata una lezione di democrazia per tutta Europa”. Salvini ha anche promesso di esportare i referendum in altre regioni: “Abbiamo scelto una via regolare, pacifica, costituzionale. La stessa opportunità la offriremo a chi da nord a sud ce lo chiederà: Puglia, Abruzzo, Piemonte, perché no anche Lazio”. Quindi l’occhio alle consultazioni nazionali: “Alle prossime elezioni politiche ci saranno due modi diversi di intendere l’Italia: una, quella del centro sinistra che centralizza, due quella della Lega che parte dal basso e dal popolo che ha vinto 5 a 0 sui poteri forti“. Salvini si è quindi accodato alle rivendicazioni di Zaia: “Il nostro interlocutore è il presidente del consiglio dei ministri. Non mi stupirei che al tavolo della trattativa ci fossero Zaia, Maroni, Bonaccini. E sentivo che anche il governatore della Puglia Emiliano si era espresso in questi giorni in tal senso”.

Zaia dal canto suo ha detto che si metterà al collo una targhetta per dire “che resta in Veneto” e da lì non ha intenzione di muoversi. E, proprio da vincitore, ha ribadito che c’è piena “collaborazione con la Lombardia sul piano delle metodologie da seguire nella trattativa con il governo, ma sarà inevitabile che la Lombardia avrà delle sue istanze e peculiarità differenti a quelle del Veneto quando andremo al ‘vedo’. Ogni Regione ha la sua storia ma si va avanti nella trattativa assieme”. Zaia nel merito ha ribadito: “Non esistono trattative a scartamento ridotto, solo i pessimisti non fanno fortuna. Noi, ovviamente, chiederemo tutte le 23 competenze. La politica esce da questa trattativa dalle 23 di ieri: non c’è più una istanza della politica ma di un popolo che vota in maniera variegata, ma che al 98% dice che vuole un Veneto autonomo. Starà poi Roma dire che 2,4 milioni di persone che vanno a votare sotto la pioggia non meritano 23 competenze”. A livello operativo Zaia ha specificato: “La giunta regionale del Veneto ha approvato una delibera che riguarda le disposizioni organizzative per l’avvio del negoziato con lo Stato ai sensi dell’articolo 116 terzo comma della costituzione e istituisce la consulta del Veneto per l’autonomia, organismo permanente composto delle rappresentanze regionali delle autonomie locali, delle categorie economiche produttive del territorio, delle forze sindacali, del terzo settore, dell’università, della ricerca e di altri organismi”. Un’altra delibera riguarda l’avvio formale del negoziato, cioè della trattativa con lo Stato sulla maggiore autonomia. “Non ha senso celebrare un referendum se poi non si governa il processo fin dall’inizio: così abbiamo approvato all’unanimità in giunta straordinaria tre punti all’ordine del giorno”.

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