Il meccanismo per scegliere gli eletti
(c’è chi può vince nel collegio, ma non vincere il seggio)
Secondo un meccanismo contorto, inserito nel maxi-emendamento del relatore Emanuele Fiano, il criterio di selezione degli eletti in Parlamento sarà una graduatoria interna al partito. Significa che dopo che il risultato elettorale avrà dato il numero di seggi al quale un partito ha diritto, la scelta di chi deve sedere su quei seggi sarà la seguente.
Le prime scelte saranno i capilista dei listini bloccati. Stando a un calcolo di Repubblica, i capilista sono 156. Poi si scelgono i vincitori dei 303 collegi. Infine i 147 candidati da scegliere tra i secondi, i terzi, i quarti e così via del listino bloccato. Un meccanismo che agevola i dirigenti più importanti e in vista di un partito: ci sarà la corsa a occupare la posizione del capolista del listino.
C’è un’unica eccezione: se chi vince nel collegio, lo fa con oltre il 50 per cento dei voti, allora ha la precedenza sui candidati del listino. Ma l’eccezione sarà così rara da non essere quasi presa in considerazione.
Uno schema così fa imbizzarrire i parlamentari eletti nelle Regioni rosse, che chissà se esistono ancora. Nelle Regioni dove il Pd è molto forte – è l’obiezione di molti deputati di Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche – è che i candidati democratici di tutti i collegi di quelle Regioni potrebbero arrivare primi, ma una parte di essi non verrebbe eletto perché la distribuzione dei seggi complessiva sarebbe proporzionale. Un’obiezione sollevata tra gli altri dagli orlandiani Andrea Martella, Enzo Lattica, Andrea Giorgis o Valter Verini.
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