Dalla bottiglia molotov al napalm, dal quartiere romano di Centocelle al campo rom La Barbuta. Si sapeva che il passo sarebbe stato breve e sono bastati 15 giorni a dimostrarlo.

Due settimane fa il tragico episodio del rogo delle tre sorelline avvenuto a Centocelle. Ci siamo stracciati le vesti gridando subito al gesto razzista, poi tutti dietro la teoria delle faide interne. Il carrozzone mediatico ha preso il via con le sue schizofrenie e i suoi eccessi. La città di Roma, comunque, ha avuto un sussulto. Diciamo pure scomposto, ma ha saputo esprimere una reazione. Quell’episodio, come spesso accade, ha avuto un lungo seguito: dalle dichiarazioni di alti esponenti istituzionali alle manifestazioni antirazziste, dalle cerimonie religiose alle prese di posizione di cittadini e associazioni. Qualcuno ha colto l’occasione per rubare secondi di visibilità televisiva o per rilanciare punti di vista.

Oggi, davanti alle ceneri ancora fumanti di un camper trasformato in tomba, in coda al corteo, è il turno degli sciacalli, degli istigatori all’odio che gettano la pietra nascondendo la mano: vigliacchi senza scrupolo. Sono loro che, offendendo la memoria delle tre ragazze e i valori che la città ha saputo sommessamente balbettare, preannunciano il riemergere di sentimenti primitivi e bestiali.

C’è un esempio chiaro che aiuta a capire e sul quale è interessante comprendere genesi e conseguenze. Ad accendere la miccia è stato Ivan Boccali, consigliere comunale di Ciampino, al cui confine si trova il campo rom de La Barbuta, abitato dai cuginetti e gli zii delle sorelle morte carbonizzate. In un post su Facebook, datato 26 maggio, solo quindici giorni dopo il rogo di Centocelle, Boccali scriveva: “Ancora incendio al campo rom ‘La Barbuta’ di Ciampino. Ancora roghi tossici. Roma Sud e Castelli romani ostaggi di questi selvaggi, primitivi, balordi. La politica buonista dell’integrazione ha fallito. Per quel Campo Nomadi l’unica soluzione è il NAPALM“. Il post è stato cancellato, ma l’Associazione 21 luglio ha annunciato un esposto nei confronti del consigliere comunale.

Accesa la miccia, non resta che osservare l’estendersi del rogo. Dopo 10 minuti, un commentatore: “Come scrivi frasi forti diventano tutti buonisti e ci additano a noi come fascisti razzisti, che non abbiamo rispetto delle vite umane, riferito come vite umane a quei parassiti di merda. Lo sai come la penso io Bruciati vivi tutti dal più piccolo al più grande! Raus!”. Qualche lettore trova il commento “troppo eccessivo” o “una soluzione un po’ forte”, qualcun altro rincara la dose: “Dal più piccolo al più grande! Tanto poi anche i più piccoli diventeranno grandi. Italiani, purtroppo. E più cattivi dei vecchiacci!! Fanculo ai buonisti dimmerda… portateveli a casa vostra e non rompete i coglioni a fare i perbenisti!”. Non mancano i nostalgici: “Con il grande, onnipotente, Lui, il problema dei zingari non esisteva”.

Dopo aver suggerito il Napalm, il consigliere comunale ritira la mano (e in seguito eliminerà anche il post) davanti alla scia di commenti inneggianti a forni e campi di concentramento: “È chiaro che bisogna rimanere sul post ed evitare degenerazioni ed estremismi che non servono a nulla e non sono attinenti”. Si resta sul napalm, consiglia Boccali, senza andare oltre.

E intanto, malgrado le segnalazioni ai dipendenti di Zuckerberg, sulla pagina Facebook di Ivan Boccali il post è rimasto lì per giorni, con i suoi like e i suoi commenti: pagina indelebile di una dimensione umana che si fatica a considerare tale. A Centocelle, il rogo è stato spento. Qui, in assenza di qualsiasi controllo, rischiamo di essere solo all’inizio.

Con il post del consigliere comunale Ivan Boccali che inaugura la coda del corteo cittadino, messosi in fila dopo l’incendio di Centocelle, si chiude anche la parentesi di un Paese tragicamente malato, paralizzato nei suoi egoismi e senza più riferimenti valoriali. Un Paese e una città che hanno definitivamente smarrito anche il senso di colpa: l’unico appiglio, talvolta, che ci resta per recuperare un briciolo di quella pietà umana definitivamente smarrita.

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