Per il ministro della Salute Beatrice Lorenzin legalizzare il consumo della cannabis “è una scorciatoia, non ci si rende conto di ciò che è importante e di ciò che non lo è, di ciò che è giusto e di ciò che non lo è”. Convinta proibizionista da sempre, lo ha ribadito ieri in una visita alla comunità di recupero di San Patrignano: “Sono assolutamente contraria”. Per il capo della Direzione nazionale antimafia Franco Roberti, invece, sul fronte delle droghe leggere “un’azione repressiva a largo spettro non è sostenibile”, ha detto in Parlamento all’inizio dell’anno, se non a discapito del contrasto alle altre sostanze “ben più nocive e letali”, come la cocaina o le pasticche in voga fra i giovanissimi. Lo ha affermato più volte nella relazione annuale della Dna e nella sua audizione in Parlamento del febbraio scorso, lo ha ribadito in questi giorni a un convegno a Napoli, chiedendo che di “coltivazione, lavorazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati “si facciano carico i Monopoli di Stato, in modo che le mafie italiane e straniere restino tagliate fuori per sempre dal business. Intanto, dal 25 luglio dell’anno scorso non si registrano passi avanti del disegno di legge “Cannabis legale”, promosso dal Pd Roberto Giachetti e dall’ex radicale Benedetto Della Vedova. Una testo rivoluzionario per il nostro Paese: ogni cittadino maggiorenne sarebbe libero di fumarsi una canna e di coltivarsi in casa la maria, entro determinate quantità. Sarebbe, perché nonostante le oltre 200 firme trasversali, la strenua resistenza di centristi e destra ha avuto finora la meglio.

Ma che cosa contiene davvero la cannabis che viene acquistata per strada, anche da molti minorenni e giovanissimi? E poi, le canne fanno davvero male alla salute? Oppure, addirittura, fanno bene, dato che la cannabis terapeutica in Italia non solo è legale, ma passata da un numero crescente di servizi sanitari regionali? E soprattutto, quanto ci costa il proibizionismo, in termini di repressione e mancati incassi fiscali, mentre in alcuni stati Usa che hanno scelto la liberalizzazione sono nati dal nulla posti di lavoro, giri d’affari miliardari e ossigeno per finanziare interventi di welfare? Sono solo alcune delle domande a cui risponde il primo numero di FQ Millennium, il nuovo mensile dell’Editoriale Il Fatto diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 6 maggio, che presenta una serie di inchieste, reportage e interviste sul tema. Ecco un’anticipazione dei risultati emersi. CeD26FhT[/jwplayer]‘]

I COSTI DEL PROIBIZIONISMO. Gli economisti di lavoce.info Piero David e Fedinando Ofria stimano una media di 7,2 miliardi di euro l’anno il danno per le casse dello Stato italiano, considerando sia il costo del contrasto alle droghe leggere, in termini di forze dell’ordine e macchina giudiziaria (oltre mezzo miliardo l’anno) sia i mancati incassi del Fisco (6,6 miliardi). Circa la metà degli uomini in divisa e dei magistrati impegnati nella lotta agli stupefacenti sono impiegati nel contrasto a sostanze – marijuana e hashish – che altrove sono legali. Come in Colorado, dove gli introiti fiscali della cannabis finanziano la ristrutturazione delle scuole pubbliche e gli alloggi per i senza casa.

CHE COSA VI SIETE FUMATI. Tracce di fungicidi e di cocaina, erbaccia comune e un pezzo di legno, un principio attivo (Thc) fuori controllo e potenzialmente rischioso, in particolare per la salute dei giovanissimi. Sono i risultati dell’inchiesta esclusiva condotta da FQ Millennium sulla cannabis venduta nelle piazze italiane. I giornalisti del mensile si sono procurati 22 campioni di marijuana e hashish nelle principali piazze di spaccio di Milano, Roma, Torino, Napoli e Bologna, e li hanno fatti analizzare dal laboratorio di tossicologia forense del Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche dell’Università Alma mater di Bologna. Dal test emerge fra l’altro come, nella cannabis acquistata in strada, la quantità di Thc (delta-9-tetraidrocannabinolo, la componente psicotropa della cannabis, cioè che dà alla testa) sia di norma molto elevata e fuori controllo. Oltre venti volte quella contenuta nella maria che fumavano gli hippy negli anni Sessanta-Settanta. Il record è toccato alla marijuana acquistata a Napoli nel rione Traiano, in cui il Thc tocca il 26,25%, e in altri sei casi è risultato superiore al 20%. “Molti clienti dello spaccio sono ragazzi giovanissimi”, afferma Elia Del Borrello, responsabile del laboratorio che ha analizzato i campioni. “Fino a 21 anni il sistema nervoso non è ancora del tutto differenziato e sostanze così forti possono incidere negativamente su quei tessuti. Soprattutto se accompagnate da cocaina e alcol”. Nella cannabis sequestrata in Italia, aggiunge la dottoressa, è comune trovare “concimi, fertilizzanti, ormoni”, utilizzati nella coltivazione illegale, nonché “additivi chimici” impiegati per rinforzare l’effetto dell’erba di bassa qualità.

FA BENE O FA MALE? Chi deve sottoporsi  a una chemioterapia può sperimentarne i “risultati positivi contro nausea e vomito”. Chi è colpito da sclerosi multipla può trovare sollievo dagli spasmi muscolari. Ma attenzione a non abusarne. Potrebbe aumentare il “rischio di schizofrenia“, e portare alla “comparsa di stati d’ansia“. Sono alcune delle conclusioni di un corposo report statunitense, dato alle stampe all’inizio dell’anno, sugli effetti sulla salute della cannabis e dei suoi costituenti, i cannabinoidi. A realizzarlo, le National academies of sciences, engineering and medicine (Nasem), un panel scientifico di cui fanno parte circa trecento premi Nobel. FQ Millennium racconta le storie dei pionieri italiani della cannabis terapeutica: medici e pazienti raccontano le loro esperienze, in particolare nella cura del dolore derivato da patologie gravissime. Nonostante la cannabis a scopi terapeutici sia legale nel nostro Paese da diversi anni, le resistenze sono ancora forti. Nel 2015, il ministero della Salute ha affidato l’esclusiva della produzione all’esercito, in particolare all’Istituto farmaceutico militare di Firenze. Nei Paesi Bassi, invece, si è svolta una gara vinta dall’azienda privata Bedrocan, i cui prodotti sono molto utilizzati anche da medici e pazienti italiani.

UN NARCOSTATO AL DI LA’ DELL’ADRIATICO. Mentre il proibizionismo resiste alla richiesta di legalizzazione che ormai proviene da settori ampi della società, mondo scientifico e giuridico incluso, la vicina Albania è diventata il maggiore esportatore di cannabis illegale d’Europa, come racconta un approfondito reportage pubblicato dal mensile. Alla vigilia del voto di giugno, maggioranza e opposizione si accusano reciprocamente di essere complici dei narcos locali sempre più ricchi, potenti e sfacciati. Un terzo del pil albanese – si calcola – arriva dalle piantagioni di canapa e dalla filiera dell’esportazione in Italia e nel resto del continente. Così, scrive in esclusiva FQ Millennium, gli investigatori di mezza Europa cominciano a considerare la criminalità albanese legata alla droga – non solo marijuana, ma anche cocaina – come la quarta mafia a livello continentale, dopo le italiche ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra.

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