“Il giudizio complessivo, ma soggettivo, dei professori è importante. Altrettanto importante, però, è poter disporre di un giudizio oggettivo, ancorché parziale, per comprendere in modo comparativo il livello di competenze acquisite”. Per Andrea Ichino, professore universitario ed economista, non esistono dubbi: se la richiesta della Commissione Cultura del Senato di eliminare l’esito delle prove multiple dall’attestazione finale per la terza media e la quinta superiore verrà accolta, si commetterà un errore grave.

“Le università sono, purtroppo, piene di studenti che dopo il primo anno si accorgono di aver fatto scelte sbagliate”, spiega Ichino. A suo dire ci sono “studenti che con voti di maturità stratosferici si iscrivono a corsi di Ingegneria, Fisica e Matematica dove non riescono a superare neppure gli esami iniziali”. Ma “è lecito ipotizzare che esistano studenti con elevate competenze logico matematiche, osservabili in un test Invalsi, i quali a causa di un basso voto di maturità ottenuto in licei stretti di manica, rinunciano alla carriera universitaria che sarebbe ideale per loro”. Perché questo accade e dovrebbe continuare a verificarsi è presto detto. “Nel resto del mondo è normale che prove nazionali multiple, analoghe a quelle Invalsi, vengano usate dagli atenei per decidere quali studenti ammettere. Questo perché l’università non è la scuola di don Milani. E’ il luogo in cui i giovani più competenti di una nuova generazione prendono il testimone dalla generazione precedente”.

Le motivazioni utilizzate da Ichino per supportare la sua tesi, confesso che mi disorientano. Non credo che il test Invalsi costituisca un “giudizio oggettivo”. Non lo è, a mio parere, per la scelta della facoltà, come sostiene Ichino. Non lo è neppure per l’iscrizione alla scuola superiore, per la quale si potrebbe far ricorso anche ad uno strumento, nella maggior parte dei casi, inutilizzato: il consiglio orientativo. Sul fatto che questo “suggerimento” offerto dagli insegnanti del triennio, possa risultare viziato mi permetto di esprimere alcune perplessità. Perché mai un consiglio di classe dovrebbe “consigliare male” un alunno? Per quale motivo insegnanti che generalmente hanno osservato e aiutato la crescita di un ragazzo per l’intero corso di studi dovrebbero penalizzarne le aspirazioni? Questo, naturalmente, non può significare che non si possa giudicare e consigliare in maniera erronea. Ma confido che si tratti di una percentuale esigua di casi e non di un trend, generato da valutazioni oggettive.

Conoscenza e capacità, potenzialità e naturali predisposizioni non si possono valutare sic et sempliciter con dei test. Ed il fatto che essi siano largamente utilizzati “nel resto del mondo… dagli atenei per decidere quali studenti ammettere” non credo possa costituire un elemento al quale fare riferimento. Non lo credo neppure per la scelta della scuola superiore. Non infrequentemente i test Invalsi piuttosto che far emergere i reali valori, livellano. Non di rado rovesciando giudizi. Chi abbia avuto una qualche esperienza nel mondo della scuola avrà sperimentato direttamente casi di alunni meritevoli penalizzati dalle prove Invalsi. E non per una mancanza di esercizio, ma piuttosto per una difficoltà a misurarsi con prove difformi come impostazione da quelle svolte nel corso di studi.

E’ come se ci si addestrasse per anni ad andare in bici. In pianura, ma anche in presenza di considerevoli dislivelli. Pedalando per strade asfaltate e per sterrate. Al caldo e al freddo. Allenamenti su allenamenti per prepararsi alle gare. Ma poi che succede? Accade che alla fine ci si confronti anche in gare indoor, sulla velocità. Accade che il risultato di queste competizioni incida sulla classifica finale, al pari di altro. Accade che ottenga dei buoni piazzamenti finali anche chi nelle gare su strada è sempre rimasto nelle retrovie, mai lanciando la volata. Proprio per questo i test Invalsi producono troppe volte risultati complessivamente “falsati”. Perché introducono valutazioni che, proprio per la loro natura, selezionano secondo criteri particolari.

“I migliori giovani italiani se ne stanno andando verso Paesi nei quali le competenze sono misurate con tutta la precisione possibile e per questo sono riconosciute e premiate”. Ichino su questo ha ragione, se ne vanno i migliori cioè quelli che il modello scolastico italiano, seppur svilito da scriteriate riforme, ha prodotto. Cioè quelli che formati da un sistema scolastico sempre più imperfetto, ma ancora esemplare, si sono stancati di dover costruire la loro esistenza su test sbagliati.

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