Dalla curva al carcere di Aqrab e da qui in corte marziale.

Dopo un anno di prigione Sayed Moshagheb, uno dei capi dei Cavalieri bianchi, gli ultras dello Zamalek, è stato rinviato a processo. Moshagheb deve rispondere di aver organizzato nel 2013 una manifestazione illegale di fronte al quartier generale dei servizi per la sicurezza dello Stato e di avere, due anni dopo, incendiato due stadi e il centro congressi di Nasr City.

Moshagheb è già sotto processo per aver causato la morte di 19 ultras dello Zamalek durante gli scontri con la polizia del febbraio 2015 allo stadio delle forze aeree. È stato invece assolto dall’accusa di aver tentato di uccidere il presidente dello Zamalek.

Viste così le cose, Moshagheb parrebbe un criminale comune, pure recidivo. Le cose sembrano un po’ più complesse. Come raccontato, tra gli altri, da Claudia Galal in Cairo Calling (Agenzia X, maggio 2016), i rapporti tra le curve di alcune squadre di calcio egiziane e le autorità sono problematici. Lo sono almeno dal gennaio 2011, quando proprio i Cavalieri bianchi arrivarono in massa a piazza Tahrir per difendere la rivoluzione e proteggere i manifestanti dalle cariche della polizia.

A piazza Tahrir c’erano anche gli ultras dell’al-Ahli, un’altra squadra del Cairo. Un anno dopo la rivoluzione, la trasferta contro l’al-Masry di Port Said finì con una strage, da molti vista come una vendetta della polizia egiziana. Che infatti venne assolta nel processo, terminato con la condanna a morte di 21 tifosi dell’al-Masry.

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