Vincent Bolloré vuole spingere Silvio Berlusconi ad allearsi su basi diverse oppure vuole conquistare il controllo di Mediaset? Per la stampa francese è questo il maggior interrogativo del 2017 nella partita Vivendi-Mediaset. Non a caso, secondo la banca d’affari Natixis, il match potrebbe concludersi con un’offerta amichevole che lasci ancora per qualche anno le tv di Cologno Monzese nelle mani della famiglia Berlusconi. Tuttavia le ipotesi di lavoro della stampa d’Oltralpe hanno per un attimo trascurato che l’affare Vivendi-Mediaset non è una partita a due. Bensì a tre. Sullo sfondo resta infatti Telecom Italia, società controllata da Vivendi e appena inserita da Bank of America Merrill Lynch nell’elenco dei dieci migliori titoli europei in cui investire ad inizio 2017 per via delle prospettive di rialzo del titolo legate a doppio filo con la ristrutturazione in corso e con la qualità della rete dell’ex monopolista.

Il botta e risposta fra Bolloré e Berlusconi sul caso Vivendi-Mediaset si è infatti ad oggi trasformato nel miglior mezzo del finanziere bretone per comunicare col governo italiano sul tema Telecom. Sin dal suo arrivo nel capitale dell’ex monopolista, nel maggio 2015, Bolloré non ha del resto avuto vita facile nei rapporti con Palazzo Chigi. Il raider bretone ha tentato in più occasioni di trattare il futuro di Telecom con l’ex premier Matteo Renzi. Senza però riuscire a cavarne un ragno dal buco. Renzi ha infatti preferito affidare all’Enel il progetto per la realizzazione nuova rete di telecomunicazioni a banda ultralarga sfidando Telecom e rendendo meno appetibile l’investimento fatto da Bolloré nell’ex monopolista.

Rimasto con il cerino in mano, finora il finanziere bretone non ha trovato nulla di meglio che un’intensa cura dimagrante per Telecom affidata a Flavio Cattaneo, uomo di fiducia di Silvio Berlusconi sin dai tempi della Rai. Finora per l’appunto. Perché con la trattativa su Premium, bruscamente interrotta e finita a carte bollate, e poi l’acquisto di una quota consistente (29,94%) di Mediaset, il raider bretone ha spostato l’attenzione su Cologno Monzese relegando Telecom sullo sfondo della scena mediatica. Ma non dei suoi pensieri. Dal 12 dicembre Bolloré e Berlusconi hanno infatti iniziato a litigare pubblicamente. Con sommo beneficio dei titoli Mediaset e Telecom (rispettivamente + 51,83% e +13,15% alla chiusura del 3 gennaio). Forse perché il mercato spera in un’offerta pubblica di acquisto sulle tv del Biscione.

L’operazione è tuttavia assai improbabile perché potrebbe costare cara (più di 7 miliardi), coinvolgendo anche le controllate di Cologno Mediaset Espana ed EiTowers. Potrebbe perché nulla esclude che alla fine arrivi un’offerta, come nella migliore tradizione del raider bretone, solo in azioni o magari in formula mista di titoli e contanti. E senza escludere a priori un’esenzione d’Opa a cascata che, in Italia, potrebbe essere autorizzata da Consob.

Scartata l’ipotesi di un’offerta ostile, resta sul campo la possibilità che il destino di Mediaset si decida in assemblea con una sfida all’ultimo voto fra Fininvest e Vivendi, ansiosa di annettere Mediaset al suo impero lasciando alla famiglia Berlusconi il ruolo di socio silente nel capitale del gruppo francese. Sempre che prima, come suggerisce Natixis, non si arrivi ad un’intesa amichevole o magari a una poco probabile fusione con Mondadori (+32% dal 12 dicembre) come ha ipotizzato lo scorso 3 gennaio il Giornale, quotidiano della galassia berlusconiana. Difficile dire come andranno esattamente le cose, ma è certo che, in un modo o nell’altro, Mediaset ha un futuro assicurato nel nuovo scenario europeo dei media.

Non si può dire lo stesso di Telecom Italia che resta ancora una delle maggiori preoccupazioni di Bolloré con i suoi 27 miliardi di debiti e un mercato in cui compaiono nuovi aggressivi rivali come il connazionale Xavier Niel. Come suggerisce un report di Natixis dello scorso 6 dicembre, il finanziere bretone starebbe trattando con Orange in vista di un matrimonio a tre con Telefonica di cui Vivendi è già socia (1%). Coinvolgendo magari anche la Cassa depositi e prestiti il cui intervento “non risulta” al ministro Pier Carlo Padoan, ma che di certo farebbe comodo al governo per affiancare la collega francese Caisse des Dépôts, già da tempo socia di Telecom Italia (con lo 0,8% nel dicembre scorso).

Il progetto del resto non è nuovo e piace anche a Bruxelles: il commissario per la concorrenza Margrethe Vestager non ha mai fatto mistero di vedere con favore le aggregazioni transazionali che facciano nascere gruppi di telefonia in grado di competere in giro per il mondo e di avere un ruolo chiave nel sistema di sicurezza del Vecchio Continente. L’operazione è complessa, ma non impossibile. Con l’affare Mediaset in corso e Renzi lontano da Palazzo Chigi, potrebbero esserci finalmente le condizioni per chiudere anche la partita Telecom. Magari per effetto “indiretto” di un intervento dell’Agcom che, alla fine dell’istruttoria aperta a tempi di record sul caso Mediaset, potrebbe chiedere a Vivendi di disfarsi di una quota dell’ex monopolista per poter restare nel capitale di Cologno. Un’operazione che alleggerirebbe Vivendi e grazie alla quale, alla fine dei conti, saranno vincenti sia Bolloré che Berlusconi.

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