Cultura

Grecia, Alekos Panagulis 40 anni dopo. Il fratello Stathis: “E’ ancora simbolo di resistenza, se fosse vivo non saremmo ridotti così”

Nel 1976 moriva in un incidente stradale il patriota Alessandro Panagulis: aveva tentato di uccidere il dittatore Papadopulos e conobbe la durezza del carcere del regime dei Colonnelli. Per lui Oriana Fallaci, sua compagna, scrisse "Un uomo". Ilfatto.it ha intervistato il fratello Stathis, deputato che ha lasciato Syriza in dissenso contro chi ha votato l'ennesimo pacchetto di sacrifici per il popolo greco: "Se Alessandro fosse vivo non saremmo ridotti così. E il dramma è che tuttosuccede con un governo che si dice di sinistra"

di David Marceddu

“Bastava che la bomba fosse scoppiata un secondo prima e il dittatore Papadopulos sarebbe morto. Alessandro e tutti noi ne eravamo convinti: il regime dei colonnelli sarebbe finito allora”. Non ha dubbi, né pentimenti Stathis Panagulis, oggi deputato del parlamento greco eletto con Syriza. Da sei mesi, in dissenso dal premier Alexis Tsipras, è uscito dalla maggioranza: “Un governo di sinistra, ma che con la sinistra non ha nulla a che fare. Il cambiamento di politica da parte di Tsipras è stato terribile”. Suo fratello Alessandro Panagulis è stato uno degli eroi moderni della Grecia. Per un soffio nel 1968 non fece saltare in aria l’auto del capo della giunta militare e per questo passò sei anni sepolto vivo in una cella, torturato e con una condanna a morte sulla testa. Domenica, primo maggio, saranno 40 anni esatti dalla morte di Alekos. Lo conoscono tutti così ad Atene e nel mondo. Pochi anni dopo la sua liberazione e la fine della dittatura, nel 1976 uno strano incidente automobilistico lo uccise sul colpo. Secondo alcuni periti italiani fu speronato da due auto. “Non si sa. Erano in tanti a dire che lo avevano ammazzato, ma non abbiamo mai avuto le prove. Aveva iniziato a pubblicare su un giornale i nomi di collaboratori della giunta fino ad allora sconosciuti e aveva in mano pure altri documenti”, ci spiega al telefono Panagulis con il suo ottimo italiano, imparato in tanti anni di esilio. “Alekos era un uomo che il sistema non voleva, per questo forse l’hanno fatto fuori”.

Nel 1979, tre anni dopo la morte, Oriana Fallaci scriverà per lui, il “compagno della sua vita”, il suo più bel romanzo, Un uomo: “Loro due erano molto vicini. Oriana per Alekos è stata una vera amica. Lo ha aiutato molto quando espatriò in Italia dopo il carcere. Quando poi, dopo la caduta della giunta, Alessandro tornò in Grecia come deputato, lei veniva ad Atene e lui andava da lei a Firenze”.

I Panagulis sono una famiglia ateniese di tradizione militare e dai forti ideali democratici. Papà Basilio e mamma Athinà la passione politica la pagheranno sulla loro pelle e su quella dei loro figli. Quando il 21 aprile 1967 i colonnelli instaurano una dittatura, il maggiore dei fratelli, Giorgio, tenente dell’esercito, diserta e fugge. Impossibile per lui servire un governo fascista. Arrestato dalla polizia in Israele e imbarcato su una nave diretta al Pireo, sparisce misteriosamente. Non se ne saprà più niente. Il secondogenito Alessandro, 28 anni, diserta anche lui. Fugge a Cipro, poi a Roma. Anche Stathis, ventiduenne, è a Roma e milita nel gruppo fondato dal fratello, Resistenza greca. Nell’estate del 1968 Alekos torna in patria e il 13 agosto fa saltare in aria la strada dove abitualmente passa l’automobile del dittatore Giorgio Papadopulos. “Alessandro ci aveva telefonato il giorno prima dell’azione. Aveva chiesto a noi di dare, dall’estero, notizia dell’attentato. E così facemmo, da Parigi. Ad Atene il regime la tenne inizialmente nascosta”.

La bomba però scoppia un secondo dopo il passaggio del dittatore, che rimane illeso, e Alessandro viene catturato. Torturato in maniera brutale, fino quasi a rimanere ucciso, non parla agli aguzzini dell’Esa (una sorta di Gestapo ellenica), non tradisce i compagni né svela i retroscena dell’attentato. Nel novembre 1968, prima di essere condannato a morte, Alekos pronuncia davanti alla corte, invece che una difesa, un atto d’accusa contro ogni tirannia: “Ho messo io gli esplosivi … E mi dolgo soltanto di non essere riuscito a ucciderlo”. Alekos difende la violenza come arma, estrema, di lotta alla dittatura : “Non amo la violenza. La odio. Non mi piace nemmeno l’assassinio politico … quando avviene in un paese dove esiste un libero parlamento e ai cittadini è data la libertà di esprimersi, di opporsi”. Trattenuto a fatica dai secondini, scaglia la sua apologia contro la giunta: “Ma quando un governo si impone con la violenza … con la violenza impedisce ai cittadini di esprimersi … e addirittura di pensare, allora ricorrere alla violenza è una necessità”.

Pochi giorni dopo, quando è tutto pronto per la sua fucilazione, una mobilitazione internazionale riesce a fermare il plotone. È Stathis, instancabile, a guidarla. La politica italiana si muove in blocco: Pci, Psi, Dc, persino Paolo VI. “Tutti popoli del mondo, i paesi socialisti, quelli dell’Africa, dell’Asia. Tutti mandarono telegrammi a Papadopoulos”, ricorda Stathis. Nonostante Alessandro rifiuti di firmare la domanda di grazia, l’esecuzione salta. Panagulis rimane in carcere per altri cinque anni, tra sevizie e tentativi di evasione. Furono così tanti i tentativi che per Alekos, pericolo numero uno per il regime, al penitenziario militare di Boiati costruirono una prigione apposita, seminterrata. “Per tutto quel tempo non poté mai vedere il sole, né i suoi avvocati o sua madre, che incontrò tre volte in cinque anni”, ricorda suo fratello. Le poesie del prigioniero, intanto, uscite clandestinamente su bigliettini scritti col suo stesso sangue, cominciano a essere pubblicate in tutto il mondo.

Anche Stathis continua la sua battaglia. “Dopo l’arresto di Alessandro tornai clandestinamente in Grecia ben 13 volte. Resistenza Greca continuava a stampare giornali, a informare gli studenti, a mettere qualche bombetta qua e là per far vedere al mondo che la Grecia resisteva”. Ma nell’agosto 1972 anche il più giovane dei Panagulis conosce la galera e le torture della tirannia: “Mi arrestarono e rimasi in carcere fino alla caduta della giunta, nel 1974. Per un anno fui imprigionato nello stesso penitenziario di mio fratello, ma non ci permisero mai di vederci”.

Dopo l’amnistia del 1973 Alekos esce dalla sua “tomba” di Boiati e rivede la luce del sole. Poi l’incontro con la Fallaci in occasione di un’intervista per l’Europeo e la nascita di un legame che durerà fino alla morte. Assieme alla giornalista Alekos lascia il paese ancora sotto dittatura e va a Roma. Lega con un altro che aveva conosciuto la prigione fascista: Sandro Pertini. “Il Psi diede un ufficio in via del Corso a Resistenza Greca. Ad Alekos piacevano Pietro Nenni, Francesco De Martino, Riccardo Lombardi. Era amico con Bettino Craxi e Giacomo Mancini. Tutti ci avevano aiutato”.

Caduta la giunta, nel 1974 Alekos entra in parlamento e comincia il suo lavoro per smascherare i collaborazionisti della dittatura che si erano poi riciclati nel nuovo regime democratico. Fino a quel primo maggio 1976, quando poco prima di una nuova pubblicazione di documenti scottanti, la sua auto si schianta ad Atene. Un milione di persone, forse più, accompagneranno la sua bara il giorno dei funerali. “Panagulis Zi”, “Panagulis Vive”, gridava la folla. “Non so se con Alessandro vivo la Grecia sarebbe ridotta così ora. E il dramma è che tutto succede con un governo che si dice di sinistra”.

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