Sul referendum di ieri tante prese di posizione, ma chi è uscito realmente sconfitto?

Proviamo a fare chiarezza sulla questione. Quando la Cassazione aveva dato il via libera al referendum di ieri, i quesiti ammessi erano molti di più. Sei in totale. Ed erano stati tutti dichiarati ammissibili dalla Corte costituzionale. Tra questi c’erano – ad esempio – quelli che volevano abrogare tre norme introdotte dalla legge sblocca Italia del governo di Matteo Renzi: una che definitiva “strategica” l’attività petrolifera, una norma sugli espropri e una sulle competenze delle regioni

Presidente della Puglia Michele Emiliano

E che fine hanno fatto gli altri quesiti? La legge italiana prevede che un referendum possa essere revocato qualora il legislatore (il Parlamento con legge o l’Esecutivo con decreto legge) emani una normativa che recepisca le intenzioni di chi ha richiesto il referendum. Questo vuol dire che subito dopo la decisione della Cassazione (che aveva approvato i sei quesiti) sono stati fatti interventi di modifica della disciplina de quo secondo i desideri dei referendari.

E questa è sicuramente una vittoria del “fronte referendario” che comprendeva le nove assemblee regionali che hanno promosso i quesiti (Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) più le associazioni ambientaliste e i partiti (tra i quali noi Verdi) che hanno appoggiato il referendum. Vittoria che c’è stata quando il governo ha fatto marcia indietro nell’ultima legge di Stabilità venendo incontro alle richieste dei proponenti il referendum.

Ma la domanda sorge spontanea: perché non si è intervenuti anche su una normicina su cui si è votato ieri e che ha fatto sprecare un po’ di euro all’Erario (responsabilità del governo che non ha voluto recepire la norma e non ha voluto accorpare il referendum con le Amministrative)?

Tra l’altro pochi sanno che a causa della norma sottoposta ieri a referendum l’Europa potrebbe far partire una procedura di infrazione per violazione della Direttiva 94/22, procedura inizialmente sospesa in attesa di verificare l’esito del referendum e che da oggi ripartirà. La direttiva violata è quella che vieta che le concessioni pubbliche siano concesse in eterno allo stesso soggetto, cioè proprio il quesito per cui si è votato ieri.

Allora chiediamoci: perché il governo non ha modificato anche questa norma sapendo del rischio erariale che correva? Per nessuna delle ragioni che ieri Renzi ha spiegato. L’unica motivazione plausibile è che il governo ha talmente a cuore il destino di alcune società petrolifere al punto di assicurargli introiti perenni andando contro una norma europea e un principio cardine della libera concorrenza. Peccato che questo potrà comportare una sanzione minima di 10 milioni di euro, con una penalità di mora che può arrivare fino a 700 mila euro per ogni giorno di ritardo nel pagamento. E secondo voi chi ne pagherà le conseguenze in un momento in cui i tagli lineari stanno già facendo a fette il poco di welfare che è rimasto in piedi nel nostro Paese?

Ecco proviamo a pensare a questo, quando parliamo di vincitori. I veri sconfitti, alla fine, siamo noi cittadini costretti a pagare il prezzo dei patti di questo governo con le lobbie petrolifere.

(ringrazio per l’ispirazione ed alcuni dati forniti l’amico Filippo Lucarelli)

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