Dalla finestra del suo monolocale, l’inquilina Shannon Cain, americana in trasferta a Parigi, può ammirare sullo sfondo la torre Eiffel. E, sporgendosi pericolosamente sulla destra, anche  la basilica del Sacro Cuore, sulla collina di Montmartre. Ma a parte questi “dettagli”, l’appartamento non è niente di che: 35 metri quadrati di superficie in uno stabile qualunque anni 60. E a ridosso della Gare de l’Est, una delle maggiori stazioni ferroviarie della capitale francese: necessariamente rumorosa. L’affitto? 1250 euro, più addirittura 120 per le spese.

L’intraprendente Shannon, comunque, una soluzione l’ha trovata. Intervistata dal quotidiano Libération, nei giorni scorsi, ha ammesso che “già quando ho firmato il contratto, nell’ottobre scorso, sapevo che avrei risolto il problema di questa cifra eccessiva da pagare ogni mese. Ormai esiste una legge: il canone può essere abbassato”. E così la donna ha fatto ricorso alla Commissione provinciale di conciliazione (Cdc), una nuova istanza che raccoglie rappresentanti dei consumatori-inquilini e dei proprietari, frutto delle legge Alur.

È quella che cerca di “facilitare l’accesso all’alloggio”, detta anche legge Duflot, dal nome del ministro competente al momento dell’approvazione, la verde Cécile Duflot, nel frattempo uscita dal governo per non ritrovarsi sotto la guida di Manuel Valls, ai suoi occhi un “destrorso”. La legge è entrata in vigore lo scorso primo agosto. E prevede, fra le altre cose, almeno a Parigi, una regolamentazione degli affitti, considerando che in città sono lievitati del 34% tra il 2004 e il 2014 (continuando a crescere anche negli ultimi anni, mentre imperversava la crisi economica). Come funziona? Parigi è stata suddivisa in 14 settori. E, in ognuno di questi, viene individuato un prezzo medio del canone al metro quadrato. I nuovi contratti di affitto non devono superare più del 30% questo livello. In realtà sono individuate medie diverse anche all’interno di uno stesso settore, a seconda della collocazione e, per quel determinato indirizzo, per le diverse tipologie di appartamento, dal monolocale in su. Tutti questi dati possono essere consultati su Internet (www.observatoire-des-loyers.fr).

Se non si rispetta la regola, l’inquilino, entro tre mesi a decorrere dell’inizio del contratto, può fare ricorso alla Cdc. È quello che ha fatto pure Shannon: è andata a vedere il prezzo di riferimento per la sua zona. Ebbene, invece di 1250 euro, ne dovrebbe pagare 917. Sul suo caso i membri della commissione non hanno ancora trovato un accordo e le hanno chiesto di negoziare direttamente con il proprietario. Se un’intesa non sarà trovata, potrebbe aprirsi un procedimento giudiziario. Ma in altri casi sì, la Cdc ha fissato subito nuovi affitti. La legge permette di sforare oltre quella maggiorazione del 30% prevista, se l’appartamento prevede “elementi fuori dal comune”. In un caso un proprietario aveva messo in avanti la presenza di una vasca da bagno per giustificare un sovrappiù di 260 euro al mese. La Cdc li ha tolti dall’ammontare del canone. Da agosto a questa parte una trentina di persone ha fatto ricorso (soprattutto giovani e nella maggioranza dei casi per piccole superfici), ma sarebbero ormai in aumento. Non solo: già la presenza della nuova norma avrebbe spinto i proprietari a “limare” gli eccessi. Uno dei siti di annunci immobiliari più utilizzato, quello di Meuilleurs-agents.com, ha ammesso che ancora oggi il 30% delle sue offerte sforano il tetto massimo previsto dalla legge Alur. Ma la percentuale era più alta prima che si applicasse il provvedimento.

La legge, che ha preso come modello la Germania, prevedeva all’inizio di calmierare gli affitti in 28 agglomerati. Ma, al termine di un dibattito parlamentare assai difficoltoso, ci si era limitati alla sola Parigi, con la possibilità di estendere il sistema anche ad altri comuni, che ne facessero richiesta. Quelli, però, governati dal centro-destra, hanno già rifiutato. La legge Alur comprendeva anche l’introduzione di una Garanzia universale dei canoni (Gul), che sarebbe stata offerta su larga scala agli inquilini bisognosi. Ma, per mettere in piedi il sistema, ci sarebbero voluti 400 milioni di euro all’anno. E, nel gennaio, il governo Valls ha riconosciuto di non averli. Ci si limiterà, quindi, a una garanzia offerta solo ai giovani (meno di trent’anni) o alle persone con età superiore ma che abbiano un contratto di lavoro precario. Questo tipo di garanzia (che coprirà le mensilità non pagate per i primi tre anni di contratto) verrà a costare 120 milioni annui alle casse pubbliche.

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