Stefania Giannini esulta: a quanto fa sapere il ministero dell’Istruzione, la procedura d’infrazione contro l’Italia sul lavoro a tempo determinato nel settore della scuola pubblica è stata archiviata. “Anche l’Unione Europea conferma la serietà del nostro operato: grazie alla Buona scuola, la procedura d’infrazione contro l’Italia è stata archiviata”, afferma il ministro. Eppure il comunicato trionfante del Miur non racconta tutta la storia del contenzioso europeo sull’abuso di contratti di supplenza. “Queste sono solo valutazioni politiche”, attacca Walter Miceli, avvocato del sindacato Anief (Associazione sindacale professionale). “Il procedimento giuridico contro gli abusi del Ministero è un’altra cosa, e va avanti”.

La vicenda è nota: anni fa la prassi del Ministero di coprire i posti vacanti e disponibili con contratti a tempo determinato è finita nel mirino dell’Europa. Cattedre vere e proprie, che potevano essere assegnate in pianta stabile a dei docenti, per anni sono state coperte con supplenze per mancanza di soldi. Un abuso, sfociato nella famosa “sentenza Mascolo” della Corte europea, che ha stabilito l’illegittimità del rinnovo sistematico dei contratti a tempo. Adesso il Miur dà notizia dell’archiviazione, affermando che le misure contenute nella riforma della scuola hanno appianato il contenzioso: “Con la Buona Scuola abbiamo dato una risposta credibile: interrompiamo la pratica di utilizzare i contratti a tempo determinato, in modo reiterato, per coprire posti che risultano vacanti. Anche la Ue lo certifica”. Ma la procedura d’infrazione è tutt’altra storia rispetto al procedimento giuridico. A spiegare la differenza è Miceli, uno dei legali che ha curato il ricorso: “L’infrazione è un provvedimento di tipo politico, che poteva concludersi con una sanzione nei confronti dello Stato italiano, senza alcuna ripercussione sui docenti. Dall’altra parte, invece, c’è il procedimento giuridico, che un anno fa ha avuto il suo epilogo in Europa e di cui ora aspettiamo gli sviluppi italiani”.

Il fronte politico pare chiuso. Ma quello interessava relativamente gli insegnanti italiani. “Anche in caso di condanna non ci sarebbero stati indennizzi”, prosegue Miceli. “Attendiamo il dispositivo per conoscere le motivazioni della scelta della Commissione. Una cosa però è certa: l’archiviazione non c’entra nulla con la riforma, visto che riguarda i precari Ata che nella Legge 107 non compaiono neanche”. La procedura d’infrazione, infatti, era stata aperta nel 2010 su denuncia alla Commissione Europea dell’abuso di contratti determinati per i collaboratori scolastici, categoria esclusa da La Buona Scuola. La riforma, in effetti, ha preso alcuni provvedimenti per sanare la posizione dell’Italia: ha assunto i precari storici delle GaE, introdotto il divieto di supplenza oltre i 36 mesi (tetto massimo previsto dalla normativa europea), stanziato un fondo per risarcire i docenti. Nulla, però, per gli Ata. “La Commissione avrà archiviato per altre ragioni, di tipo politico”, afferma il legale.

Anche senza infrazione, però, la battaglia per il riconoscimento dei diritti negati ai precari della scuola va avanti. “La condanna della Corte è storia, adesso aspettiamo la sua fase discendente”, aggiunge Miceli. A giugno, infatti, la Corte costituzionale è chiamata a esprimersi sulla legittimità delle norme che fin qui hanno permesso allo Stato di stipulare contratti determinati sui posti vacanti e disponibili, già bocciate dall’Europa. In caso di verdetto favorevole ai ricorrenti, saranno i vari tribunali (come i Giudici del lavoro) a interpretare la sentenza e stabilire gli effetti concreti. Fin qui sono state proposte soluzioni molto variegate, dall’assunzione al semplice indennizzo (più o meno cospicuo). “Per quanto ne dica la Giannini – conclude Miceli – la partita è aperta. Il Ministero rischia ancora tanto”.

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