Renzi 675Ahiahiahi, signor Renzi, lei mi cade sulle cene! L’altro giorno, quando il premier & C. hanno preteso le dimissioni del sindaco Marino per aver mentito su qualche cena da poche centinaia di euro ciascuna, avevamo come il sospetto che la scelta di alzare improvvisamente l’asticella dell’etica pubblica si sarebbe rivelata un boomerang, o almeno un pericoloso precedente per molti. Infatti. Il nostro Davide Vecchi è andato a controllare quanto spendeva Renzi in cene “di rappresentanza” da presidente della Provincia e poi da sindaco di Firenze. E ha scoperto che, al confronto, Marino è un dilettante col braccino corto. Matteo il Magnifico faceva le cose in grande. Nel quinquennio alla Provincia (2004-2009), spese con la Visa dell’ente pubblico, cioè a carico dei contribuenti, la bellezza di 1 milione di euro, di cui 70 mila in tre anni per trasferte negli Stati Uniti (anche lui) e 600 mila in ristoranti, anche a botte di mille-duemila euro, per pranzi e cene giustificati (si fa per dire) con ricevute molto generiche e anche comiche: la scritta “pasto unico” sotto conti da 1.855, 1.300 e 1.050 euro è roba da Pantagruel. Comunque la Provincia sborsava senza discutere: il capogabinetto addetto alla firma, Giovanni Palumbo, seguì Renzi al Comune e a Palazzo Chigi: meglio non lasciarlo mai solo. E il procuratore di Firenze che archiviò varie denunce, dopo che il ministero dell’Economia aveva evidenziato “gravi anomalie” nelle spese della gestione renziana, andò in pensione e fu subito ripescato come consulente del sindaco renziano Nardella.

I dati sulle spese di Renzi sindaco (2009-2013) sono invece un mistero, almeno per i dettagli: la Corte dei conti li sta esaminando da un anno e mezzo. Ma oggi pubblichiamo (a pag. 5) un’intervista al proprietario del ristorante fiorentinoDa Lino”, che ricorda le cene e le feste di Renzi con moglie, parenti e amici al seguito, e soprattutto le modalità di pagamento: l’allegra comitiva se ne andava senza passare per la cassa perché l’ordine era di inviare la fattura al Comune, che poi saldava tutto. Tutta attività “istituzionale”, ci mancherebbe.

Ora, può essere che l’oste ricordi male. Ma lo stesso si può dire degli osti che sbugiardano Marino sulle sue cene, peraltro costate ai contribuenti romani molto meno di quelle di Renzi ai fiorentini. Che farà il capo del governo? Sarà ingenuo come Marino e indicherà uno per uno i commensali tra ambasciatori, manager, dirigenti di onlus e preti per rivestire di “rappresentanza” le gaie tavolate?

Oppure farà come sempre, cioè non dirà nulla, rimettendosi alle sentenze definitive dei giudici penali e contabili (campa cavallo)? Se sappiamo che Marino ha mentito, infatti, è perché ha avuto la malaugurata idea di rispondere, e per iscritto, a chi contestava le sue spese. Se avesse fatto come Renzi e le altre reincarnazioni del Marchese del Grillo, nessuno gli rinfaccerebbe le bugie. Ma al massimo i silenzi. Che, nel suo caso di brutto anatroccolo, farebbero comunque notizia. Le non-risposte di Renzi invece non le ha mai denunciate nessuno, anche perché avrebbero dovuto farlo gli stessi cortigiani che non gli hanno mai posto una domanda.

In un caso il premier ha risposto: quando Marco Lillo lo interpellò sul trucchetto dell’assunzione nell’azienda paterna per gonfiarsi lo stipendio pubblico e i contributi pensionistici, ai quali poi rinunciò. Quando invece gli domandammo delle intercettazioni con il generale della Gdf Michele Adinolfi, il Reticente del Consiglio si cucì la bocca. E quando i 5Stelle presentarono un’interrogazione alla Camera, mandò la solita Boschi a raccontare frottole. Quattro.

1) “Nelle conversazioni non è neppure citata l’ipotesi di avvicendamento dell’allora premier” Enrico Letta. Falso: Renzi ventilava con l’amico ufficiale l’ipotesi di “buttare all’aria tutto”, cioè di rovesciare il governo Letta, il che “sarebbe meglio per il Paese perché lui è proprio incapace”.

2) “Quel che è grave è che intercettazioni prive di rilevanza penale anziché essere stralciate siano finite a un giornale e siano state pubblicate. Su questo sono in atto delle verifiche per accertare eventuali responsabilità”. Falso: le intercettazioni non sono “finite a un giornale”: le hanno depositate i pm agli avvocati dell’inchiesta Cpl Concordia. E, dopo il deposito, hanno perso il carattere di segretezza, dunque il Fatto le ha legittimamente e doverosamente riferite, senza commettere alcunché di “grave”.

3) “Nulla da riferire ha il governo, perché non sono coinvolti esponenti del governo”. Falso: dalle intercettazioni emergono le pressioni di Renzi e del sottosegretario Lotti per far promuovere l’amico Adinolfi a comandante generale della Gdf al posto del gen. Capolupo.

4) “Non si fa riferimento mai a possibili sostituzioni o promozioni nella Guardia di Finanza né tantomeno a possibili ricatti nei confronti dell’allora presidente Napolitano”. Falso: Adinolfi e Nardella, durante una cena romana, attribuivano la conferma di Capolupo al presunto strapotere del figlio di Napolitano, Giulio, e ai conseguenti pretesi ricatti sul capo dello Stato (“ce l’hanno per le palle Gianni De Gennaro e Letta, pur sapendo qualcosa di Giulio”, diceva Adinolfi).

Ora, per carità, nessuno pretende le dimissioni della Boschi per aver mentito al Parlamento e di Renzi per avere speso molto più di Marino in cene molto poco istituzionali. In cambio però Renzi e i suoi cari potrebbero smetterla di fingere scandalo per le cene e le bugie di Marino. Se ne inventino un’altra.

il Fatto Quotidiano, 11 ottobre 2015

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