Un numero sempre maggiore di italiani si trasferisce a Londra. Secondo le stime dell’Office for National Statistics (Ons) britannico il numero dei connazionali arrivati Oltremanica è cresciuto del 37% nell’ultimo anno con più di 57,600 sbarchi (spesso in voli low-cost ) tra 2014-2015. Medaglia d’argento dunque per gli italiani, preceduti dai polacchi e seguito dagli spagnoli, a cui abbiamo strappato il secondo posto. Secondo il Consolato italiano, solo a Londra ci sarebbero 250mila italiani, pressappoco gli stessi abitanti di città quali Verona o Venezia.

Quando si pensa agli Italiani all’estero, spesso gli si associa l’immagine di un cameriere o di un lavapiatti che mastica a malapena un po’ di inglese. E’ vero, spesso la cucina di un ristorante rappresenta il primo step per molti alle prime armi. Ma oltre a questi, ce ne sono tanti altri che, arrivati come stranieri, creano impresa e posti di lavoro. Negli ultimi 3 anni gli italiani hanno creato 11.500 nuovi posti di lavoro associati, apportando un capitale totale di 1.2 miliardi di sterline con un incremento del 44% secondo un sondaggio condotto dalla Camera di Commercio italiana per il Regno Unito.

Una ricerca condotta nel corso dei miei studi per la Richmond, the American University of London ha puntato a definire e analizzare la cause e i motivi degli Italiani che decidono di lasciare il Bel Paese per investire in Uk. Un dato molto interessate della ricerca, che definisce il profilo socio-demografico del “migrante” italiano, riguarda l’età e il livello d’istruzione. Gli Italiani sono più giovani e più istruiti. Quasi il 50% di quelli che se ne vanno hanno almeno una laurea triennale, contro il 24% della media inglese e più del 50% degli intervistati ha un età sotto i 29 anni, sensibilmente inferiore alla media nazionale della forza lavoro inglese che si aspetta essere di oltre 50 anni secondo le proiezioni dell’Ons.

Giovanni, Pierluigi e Vincenzo sono tre giovani imprenditori italiani a Londra. Mi raccontano il loro punto di vista e la loro esperienza.

Giovanni Mangini, imprenditore

Per Giovanni Mangini, barese, trentenne l’amore per Londra è stato un colpo di fulmine. Arrivato per un percorso di studi temporaneo non l’ha più lasciata. Oltre a svolgere la sua professione di consulente finanziario ha da poco lanciato insieme a Glenda Tatangelo una startup nel settore immobiliare. “Aprire una società in Uk è un gioco da ragazzi : ci vogliono 2 ore, 15 sterline, e una connessione a internet. Non ci sono costi di notaio e tutto viene spiegato con un semplice tutorial online sul sito Companies Houses. I costi iniziali italiani non facilitano le idee a trovare spazio soprattutto nell’attuale contingenza economica italiana secondo Giovanni: “L’incertezza è peggiore di un salario basso, demotiva lo spirito e non stimola gli investimenti sia personali che economici.

Pierluigi Negro da buon salentino ha puntato sul “Made In Puglia” per il suo Salento Green Life, un risto-bar nel cuore di Londra. “Per quelli  come me che si sono messi in testa di crearsi un futuro, restare in Italia era impossibile! Aprire un’attività in Italia è complicato, oneroso e rischioso”

Molti come Vincenzo Rusciano, napoletano, hanno affrontato difficoltà iniziali tra cui essere overqualifield ovvero troppo qualificato per lavorare. La sua startup  Heavenote.com un sito che serve per gestire l´eredità digitale e lasciare messaggi che si inviano dopo la morte sta riscuotendo molto interesse.“Londra è il punto d’approdo ideale se hai voglia di costruire qualcosa, trovi i contatti giusti e le possibilità per iniziare. Gli investimenti in startup (non tutte, ma tante) possono essere detratti al 50% dalle tasse, ci sono tanti eventi di networking gratuiti, tanti seminari, corsi di tutti i tipi”

Si parla tanto di immigrazione soprattutto in questi ultimo periodo. Alla luce della mia analisi ritengo che all’interno del dibattito bisognerebbe considerare non solo i costi ma anche i benefici dei flussi migratori. Basti considerare che nel Regno Unito, dove sanno ben attrarre talenti e risorse, il contributo fiscale degli immigrati europei arrivati dopo il 1999 è stato di 22.1 miliardi di sterline. Un italiano che vive nel Regno Unito contribuisce all’economia del Paese 34% di quello che riceve. Una perdita e una mancata possibilità per l’amato Bel Paese, dove il 39% degli intervistati dichiara di non volerci tornare assolutamente o al massimo solo per le vacanze.

di Aurora Tota, laureanda presso Richmond, The American University of London

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