C’è anche un’accusa per corruzione per il presidente dell’Inpgi, Andrea Camporese, nell’ambito dell’inchiesta sulla bancarotta Sopaf che un anno fa portò all’arresto dei finanzieri Magnoni. Alla fine il pasticciaccio brutto dei 7,6 milioni di euro fatti incassare dall’ente di previdenza dei giornalisti alla finanziaria dei Magnoni con l’affaire delle quote Fip, non si è chiuso solo con una contestazione per truffa aggravata, ma anche quella più grave di aver intascato bustarelle. Secondo la tesi del pm di Milano, Gaetano Ruta, le quote del Fondo immobili pubblici, un investimento sicuro e redditizio, sono state pagate molto di più di quanto l’Istituto di previdenza dei giornalisti avrebbe dovuto.

Il filone dell’associazione a delinquere finalizzata alla bancarotta
Quattordici in totale gli indagati: a otto di essi tra cui Giorgio, Aldo e Ruggero Magnoni viene contestata lassociazione a delinquere finalizzata alla bancarotta. Cuore della contestazione la distrazione di fondi dalla Sopaf, società che era stata ammessa alla procedure di concordato preventivo nel febbraio del 2013. I soldi finivano, riciclati, all’estero: Austria, Svizzera, Madeira, Lussemburgo, Bermuda e Mauritius. C’è poi il capitolo truffe ai danni degli enti previdenziali come Enpam (Istituto di previdenza dei medici) e Inpgi: valore del bottino 27 milioni. Mentre, secondo l’accusa, gli indagati si sono appropriati di ben 52 milioni della Cassa di previdenza e assistenza dei ragionieri. Proprio oggi è iniziato il processo per l’ex presidente Paolo Saltarelli che era stato arrestato per corruzione, l’ente previdenziale è stato ammesso come parte civile e a fine luglio si terrà la secondo udienza. Oltre a “più fatti di corruzione” ci sono poi alcune violazioni tributarie. 

Le truffe agli enti previdenziali e la corruzione
Ebbene l’ipotesi della Procura è che Camporese sia stato ricompensato in vari modi per aver fatto guadagnare agli indagati oltre 7 milioni di euro; ci sono alcuni viaggi (non contestati), c’è quello che gli inquirenti definiscono emolumento ovvero un ruolo nel comitato consultivo di Adenium, controllata al 100% da Sopaf, con una retribuzione di 25mila euro all’anno per due anni, incarico solitamente non retribuito. E poi ci sono i soldi veri e propri. Sono state le dichiarazioni di un coindagato, Andrea Toschi, ex presidente di Arner Bank ed ex amministratore della società di gestione del risparmio Adenium, a spingere le indagini degli investigatori del nucleo di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza fino in Svizzera.

La caccia era finalizzata a individuare un conto acceso nel marzo del 2013 nella sede di Lugano della Bsi. È lì che Toschi avrebbe “ospitato”poco più di 142mila euro che Camporese gli avrebbe chiesto di depositare dopo aver venduto una casa a Padova e aver, a suo dire, intascato una parte della vendita in nero. Secondo gli inquirenti Toschi e Camporese quindi si sarebbero accordati per “trasferire risorse finanziare dell’importo di almeno 200mila euro” per il presidente Inpgi che aveva “veicolato su Adenium”, secondo l’accusa l’investimento delle quote Fip.

Le dichiarazioni contro Camporese
Toschi aveva già raccontato in un lungo interrogatorio del 31 luglio dell’anno scorso la “gratitudine” dei Magnoni nei confronti del giornalista. Ma successivamente davanti al pm Ruta ha messo a verbale anche la storia di questo misterioso denaro planato sul suo conto. Toschi davanti agli inquirenti ha sostenuto che Camporese gli aveva poi chiesto di avere indietro tranche di 20-25mila euro di quei 142mila euro, soldi che sarebbero arrivati in Italia con gli spalloni, ma di non aver mai ritirato personalmente il denaro. Un dato falso quest’ultimo perché gli investigatori delle Fiamme gialle hanno appurato che invece Toschi ha ritirato almeno una volta personalmente il denaro. Alla domanda degli inquirenti sul perché avesse tenuto soldi altrui sul suo conto Toschi ha risposto di essere grato a Camporese perché gli aveva permesso di conoscere investitori e fare affari e che gli “aveva aperto molte porte”. Camporese, secondo a quanto risulta al fattoquotidiano.it, interrogato dal pubblico ministero ha respinto ogni accusa e ha risposto che in Svizzera al limite c’era stato per andare al casinò. Nulla di illecito quindi rispetto all’affare delle quote Fip e al rapporto con i Magnoni.

Camporese: “Profonda amarezza, chiarirò al più presto”
Il presidente Camporese, che ha sempre respinto l’accusa di aver fatto incassare ai Magnoni 7,6 milioni di euro con l’affaire delle quote Fip. Ora che l’inchiesta è chiusa ed è stato notificato a tutti gli indagati l’avviso di conclusione, Camporese potrà se vorrà spiegare, smentire o confermare nuovamente al pubblico ministero la storia di questi soldi, facendosi interrogare ancora una volta. Passati 21 giorni dalla chiusura indagine la Procura potrà procedere con la richiesta di rinvio a giudizio per lui e per tutti gli altri protagonisti dell’inchiesta. “Ho appreso con profonda amarezza la notizia della chiusura delle indagini nei miei confronti e degli addebiti che mi vengono mossi: confido di poter chiarire al più presto di aver agito in totale trasparenza nei confronti dell’istituto da me presieduto ottenendo, anche nella vicenda delle quote Fip, enormi profitti in favore di Inpgi – scrive in una nota Camporese – Sono sgomento per la contestazione provvisoria del reato di corruzione. Nell’avviso di chiusura indagini si fa riferimento a un compenso da me ricevuto e regolarmente dichiarato per l’attività lavorativa svolta quale componente di un comitato. Ancor più sbalorditivo è il riferimento a un conto svizzero intestato a un’altra persona – ha sottolineato – che non ha nulla a che fare con me, così come i danari che sarebbero stati versati su tale conto”. Camporese ha spiegato, infine, di aver subito “per oltre un anno una incredibile gogna mediatica. Non permetterò a nessuno di infangare la mia storia”.

Ruggero Magnoni è uscito dal procedimento Sopaf il 4 febbraio 2016, in seguito alla richiesta di archiviazione formulata dalla Procura di Milano che già in ottobre ne aveva stralciato la posizione. L’ex numero uno di Lehman Brothers in Italia aveva patteggiato circa 6 mesi di reclusione convertiti in 400mila euro per una vecchia pendenza tributaria personale.

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