Che fosse truffa era chiaro fin dal giorno in cui gli uomini del nucleo Valutario delle Fiamme Gialle ha arrestato i fratelli Ruggero, Aldo e Giorgio Magnoni oltre al figlio di quest’ultimo, Luca. Nell’inchiesta del pm di Milano Gaetano Ruta per la bancarotta della Sopaf ben tre enti previdenziali privati, quelli di medici, ragionieri e giornalisti, venivano individuati come parte offesa di un meccanismo in cui – tramite operazioni di mediazione occulta – la società dei Magnoni aveva potuto accumulare guadagni vendendo quote del Fondo immobili pubblici (Fip), voluto nel 2004 dall’allora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. A indagini verso la chiusura, però, nel registro degli indagati è finito anche Andrea Camporese il presidente dell’Associazione degli enti previdenziali privati (Adepp) oltre che della cassa dei giornalisti, l’Inpgi. Che oggi ha ricevuto un avviso di garanzia e dovrà rispondere di truffa aggravata perché gli enti previdenziali sono assimilati a enti pubblici. Insieme al vicecaporedattore della sede veneta della Rai in aspettativa non retribuita, sono indagati Giorgio Magnoni, Alberto Ciaperoni, Stefano Siglienti, Andrea Toschi e il banchiere d’affari Gianfranco Paparella.

Per la Procura di Milano Camporese ha aiutato la Sopaf a incassare 7,6 milioni di euro perché le quote Fip, pagate dall’ente di previdenza 140mila euro l’una, in realtà ne valevano 100mila. Eppure Camporese, secondo quanto accertato dal pm, era stato ufficialmente messo in guardia dai suoi stessi uomini interni all’Inpgi secondo i quali quello che sembrava un buon affare nascondeva del marcio. Non solo. Quando Sopaf nel gennaio 2009 propone l’operazione alla cassa di previdenza dei giornalisti, non ha alcuna titolarità per farlo visto che non possiede ancora le quote e ce non l’ha nemmeno quando, il 19 febbraio 2009, Camporese con propria delibera dispone l’acquisto delle quote. La decisione eseguita a stretto giro con il pagamento di 30 milioni, è stata ratificata solo 2 mesi più tardi dal consiglio di amministrazione dell’Inpgi – all’epoca composto, oltre che da Camporese, da Riccardo Venchiarutti, Roberto Carella, Paolo Serventi Longhi, Maurizio Andriolo, Edmondo Rho, Silvia Garambois, Antonio De Vito, Silvana Mazzocchi, Giuseppe Iselli, Franco Siddi e Simona Fossati. Nel mezzo, il 12 marzo, la società dei Magnoni acquista le quote Fip detenute dalla società austriaca Immowest intascando un guadagno netto di 7 milioni e 600mila euro.

Insomma, la Sopaf avrebbe potuto prendere i soldi e scappare oltre ad aver percepito quello che la Procura nell’ordinanza di arresto dei Magnoni aveva definito un “ingiusto guadagno” quantificato in 7,6 milioni nell’operazione con l’Inpgi e 15 milioni in quella analoga con la cassa dei medici, l’Enpam. E Camporese, secondo la Procura, ha agevolato la società “utilizzando artifici e raggiri consistiti nel rappresentare falsamente all’organo amministrativo di Inpgi che Sopaf fosse titolare delle quote di Fip, laddove la società agiva di fatto come intermediario tra venditore ed acquirente, non avendo né la titolarità delle quote, né le risorse finanziarie per acquistarle – notano gli inquirenti nell’avviso – e che il margine di guadagno della società su tale operazione fosse quindi pari alla differenza tra il prezzo di acquisto dalla società austriaca Immowest Promotus Holding e quello di rivendita ad Inpgi”. Quindi le aggravanti e cioè “il danno patrimoniale di rilevante gravità, l’abuso di prestazione d’opera, l’aver commesso il fatto ai danni di un ente esercente un pubblico servizio”.

Ma quale sarebbe stato il vantaggio di Camporese in questo pasticciaccio? Nessuno all’apparenza. Certo è che il suo nome compare nel comitato consultivo di Adenium, controllata al 100% da Sopaf, con una retribuzione di 25mila euro all’anno per due anni. Nulla di penalmente rilevante, naturalmente ma che palesa come minino un conflitto di interessi. Quando furono eseguiti gli arresti nella richiesta di applicazione delle misure cautelari il pm scriveva che “il ruolo degli organi apicali degli enti previdenziali” restava “ancora sullo sfondo”, ma richiedeva “i necessari approfondimenti”. Approfondimenti che sono arrivati in estate con l’audizione di diversi testimoni interni a Inpgi e l’acquisizione di documenti. Tra cui il contratto nel quale si stabiliva che il prezzo della compravendita era “immodificabile”. Ma non solo. Nel contratto secondo gli inquirenti “non c’era alcuna indicazione del valore della quota (…), né dei criteri di determinazione del prezzo”.

“Le attribuzioni statutarie esercitate sono di una ampiezza impressionante, di fatto più di un amministratore delegato di azienda, firmo migliaia di atti l’anno e me ne assumo la responsabilità“, aveva del resto rimarcato Camporese il 3 dicembre 2013 a ilfattoquotidiano.it, replicando a un articolo nel quale si segnalava come nei 4 anni tra il 2008 e il 2012, grazie a clausole e benefici contrattuali, il suo stipendio fosse aumentato del 51,4% a 306.140 euro, mentre il rapporto tra uscite ed entrate dell’Inpgi è andato oltre il 110 per cento. Una situazione, quest’ultima, che non è migliorata, visto che l’Istituto ha sì chiuso il 2013 in attivo, ma i contributi hanno continuato a scendere e le uscite a crescere, con la gestione previdenziale in perdita per il terzo anno consecutivo, mentre lo stipendio del presidente ha continuato a crescere per via appunto degli automatismi previsti. E così l’Inpgi ha deciso di varare una revisione dei criteri di erogazione della disoccupazione e ha innalzato il contributo per gli ammortizzatori sociali a carico delle aziende.

Nei giorni scorsi, sempre nell’ambito delle indagini sulla bancarotta Sopaf, il nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza di Milano ha arrestato l’ex presidente della cassa dei ragionieri, Paolo Saltarelli. Secondo l’ipotesi del pm Gaetano Ruta, a Saltarelli è andata una mazzetta di poco inferiore al milione di euro. Mazzetta, secondo la procura di Milano, concordata per “remunerare gli investimenti della Cassa nei fondi gestiti da Denium Sgr”. La consegna della bustarella sotto forma di certificato, secondo quanto raccontato agli inquirenti da Toschi, avvenne in un bar di corso Garibaldi a Milano nell’autunno del 2012. Gli stessi militari della Gdf hanno notificato l’avviso di garanzia venerdì a Perugia, a margine di un convegno, a Camporese.

Nessun “accordo occulto o sotterfugio”, secondo Camporese che auspica che “al più presto si accerti l’assoluta correttezza dell’operato mio e di tutte le persone che in seno all’Inpgi hanno lavorato per realizzare questo investimento”. Il presidente dell’Inpgi fa quindi sapere di aver “ricevuto con stupore e profonda amarezza la notifica di un atto con cui mi si informa dell’esistenza di indagini anche nei miei confronti, in qualità di Presidente dell’Inpgi, in relazione a un’operazione avvenuta nel 2009 di acquisto di quote del fondo immobiliare riservato FIP-Fondo Immobili Pubblici, promosso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze”. Il giornalista quindi rivendica come, nonostante il guadagno milionario messo a segno da Sopaf, “tale acquisto avvenne con uno sconto significativo sul NAV (Valore Unitario Netto della quota calcolato per legge dalla Società di gestione del risparmio che gestisce il fondo) e ha prodotto dal momento dell’acquisto al 30 ottobre 2014 un rendimento annuo lordo del 9,53% sull’investimento e proventi incassati pari a 10,7 milioni di euro sui 30 milioni investiti all’epoca”. Nonostante ciò, continua Camporese, “le verifiche degli inquirenti sarebbero incentrate su un presunto accordo esistente tra me e il venditore delle quote, che avrebbe portato al pagamento di un prezzo eccessivo delle quote stesse. In buona sostanza, mentre le quote sono state da noi pagate 133.333,33 euro ciascuna, sarebbero state, invece, acquistate dal nostro venditore a un prezzo più basso”.

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