“Il debito greco non è solo illegittimo e non sostenibile, è illegale“. A parlare così è Özlem Onaran, docente di Politica del lavoro all’università di Greenwich. Fa parte della Commissione di verità sul debito pubblico in Grecia, organismo convocato lo scorso aprile dal parlamento ellenico e composto da esperti di undici paesi sotto la guida del belga Eric Toussaint. I risultati delle loro analisi sono stati resi pubblici negli scorsi giorni e figurano tra i principali argomenti che Alexis Tsipras si è giocato nella vittoriosa campagna per il no. Onaran è una economista, ma nel suo ragionamento cifre e percentuali arrivano solo fino a un certo punto.
“Il nostro rapporto – spiega via Skype da Londra – mostra che le condizioni create dal Memorandum hanno fatto sprofondare la Grecia nella depressione e hanno portato con sé una ingente crisi umanitaria. Negli ultimi anni le istituzioni del Paese non sono state più in grado di dare seguito alle necessità minime dei cittadini. Sto parlando di diritto al lavoro, alla salute e all’educazione“. Una “questione di dignità” che metterebbe fuori legge l’ex troika e le sue politiche. “Tali diritti umani non sono assicurati solo dalla Costituzione greca, ma anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dallo Statuto delle Nazioni Unite. Commissione Europea e Bce assieme al Fondo Monetario Internazionale, con l’imposizione di povertà, disoccupazione e diseguaglianza, hanno dunque violato le loro stesse regole e princìpi”.
Numerosi indicatori raccontano la crisi che soffoca la società greca: dal 2010, anno in cui i prestiti internazionali hanno cominciato ad affluire nelle casse di Atene, la perdita di salario dei lavoratori è stata del 38%, e allo stesso modo sono calati i redditi delle famiglie. La disoccupazione intanto vola verso il 30%, sussidi e assistenza sanitaria sono sempre meno garantiti. Secondo le stime della Commissione di verità sul debito il collasso delle retribuzioni ha portato a una perdita del 4,5% del Pil nazionale, crollato del 7,8% nel rapporto con il debito pubblico. Oggi il Paese vive un’emergenza umanitaria che la costrizione a ripagare prestiti e relativi interessi non può che peggiorare. “Per tutti questi motivi parliamo di debito odioso e ci rifacciamo a una teoria che risale alla fine dell’Ottocento: dopo la vittoria nella Guerra ispano-americana gli Stati Uniti non riconobbero gli impegni economici contratti da Cuba nei confronti della Spagna perché sostenevano che i crediti non furono messi al servizio dei cittadini. Un esempio più recente proviene dall’Ecuador che nel 2007, per questi motivi, ottenne una riduzione del 30% del debito. In Grecia, come nei casi citati, non è stata la popolazione a trarre benefici dai prestiti internazionali”.
Una tabella illustrata da Özlem Onaran spiega dove sono finiti i soldi. Si legge a pagina 22 della relazione della sua Commissione che il 46,3% degli oltre 243 miliardi che il Paese ha ricevuto negli ultimi cinque anni sono stati utilizzati per ripagare debito precedentemente contratto. Un altro 20% è andato alla ricapitalizzazione del sistema bancario, mentre solo un decimo di quei fondi ha alimentato la spesa pubblica. Insomma quei miliardi, il 60% dei quali prestati dal Fondo europeo di stabilità finanziaria (Efsf) oppure bilateralmente dai Paesi dell’eurozona, sono stati per lo più indirizzati verso creditori privati e istituti di credito greci, tedeschi o francesi.
“In tale modo questi soggetti sono stati sollevati quasi del tutto dai rischi connessi al possesso di titoli di Stato. Oggi l’80% del debito pubblico nazionale è detenuto da creditori pubblici: quattordici Stati membri della zona euro, l’Efsf, il Fmi e la Bce, in pratica la stessa troika. Eppure quando fecero gli investimenti erano a conoscenza, oltre che dei benefici, dei pericoli potenziali”. Secondo la docente il programma di aiuti che ha portato la Grecia all’insolvenza e al trionfo del No al Referendum è basato su assunti “volutamente sbagliati”.
“Già nel 2010 – sostiene Onaran – il Fondo Monetario Internazionale aveva teorizzato l’insostenibilità del debito senza una ristrutturazione, ma Bruxelles impose le sue condizioni. Nel report della Commissione sono menzionati documenti dell’organizzazione che ammettono tale consapevolezza. Secondo Philippe Legrain, che fu advisor del presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso fino al 2014, gli interessi delle banche furono sistematicamente privilegiati rispetto a quelli dei cittadini. Sapevano a cosa saremmo andati incontro, eppure si è voluto che le cose procedessero fino a un braccio di ferro che lascia poco spazio alla razionalità economica e troppo all’ideologia”. Il suo auspicio è che il voto espresso in maniera chiara dal popolo greco riapra i giochi per una discussione onesta e, per una volta, lungimirante. “Nel 1953 – conclude – metà del debito della Germania fu cancellato con l’accordo di Londra. Oggi, come allora, l’Europa necessita di una conferenza sul debito. Coloro che sono usciti vincitori dalla crisi finanziaria non hanno interesse a cambiare le cose, ma le persone hanno diritto di sapere che i propri soldi sono stati usati per salvare le banche. La faccenda non riguarda solo la Grecia: attraverso le stesse dinamiche e con le stesse giustificazioni gli errori dell’austerity sono stati riprodotti negli altri Paesi europei”.