I carabinieri di Catania hanno eseguito in queste ore provvedimenti restrittivi del gip, emessi su richiesta della Direzione distrettuale antimafia della locale Procura, nei confronti di 16 persone, ritenute appartenenti a due gruppi mafiosi operanti nel territorio di Paternò, nel Catanese, legati alle famiglie Santapaola e Laudani. Fra i reati contestati, a vario titolo, vi sono associazione mafiosa, omicidio e tentato omicidio. Le indagini, che ruotano attorno a un delitto e a un tentativo di omicidio avvenuti nella provincia etnea nell’estate del 2014, quando due sicari uccisero l’ex ergastolano Salvatore Leanza, indicato come un ex sicario del clan Alleruzzo-Assinnata, e ferirono gravemente sua moglie, hanno consentito di delineare le dinamiche criminali dei due sodalizi, ricostruendone le strutture e le modalità di gestione delle casse comuni, ma anche di scongiurare una escalation criminale per l’affermazione dell’egemonia sul territorio e sequestrare numerose armi e munizioni. I carabinieri hanno, infatti, individuato subito la pista giusta, collegata al ritorno sul territorio di un elemento dal passato criminale di notevole spessore che avrebbe scalato il vertice del gruppo legato alla cosca Santapaola. E alla sua ascesa si contrapponeva lo storico clan locale dei Morabito, vicino ai Laudani. Un escalation tra le due fazioni contrapposte che portò all’agguato nei confronti di Antonino Giamblanco, compiuto il 30 luglio del 2014, ma il presunto uomo di fiducia di Leanza sfuggì ai sicari.  E l’ordine di uccidere Giamblanco, sarebbe stato dato dal carcere da Salvatore Rapisarda durante un colloquio con il figlio Vincenzo intercettato dai carabinieri e confluito nell’inchiesta ‘En plein’ coordinata dalla Dda della Procura di Catania.  “L’importante è che si fa…” dice Rapisarda. “Quando vuoi ora… quando vuoi?“, afferma il figlio. “Quannu egghié (in qualunque momento, ndr)”, sottolinea Rapisarda. Il figlio aggiunge: “Perché è ca, ca (qui, ndr)… con la mitraglietta”. E, a questo punto, il giovane fa il gesto come di volere imbracciare un’arma a canna lunga. I militari, infatti, nello svolgimento delle indagini, sequestreranno poi in un ovile la mitraglietta M12 con silenziatore utilizzata nell’agguato

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