charlieRispetto alla discussione che si è articolata dopo i “fatti” di Parigi, soltanto alcuni giornalisti di testate inglesi e statunitensi, primo tra tutti Tony Barber per il Financial Times, pur nella difesa della libertà di espressione e nella condanna degli “assassini, che devono essere catturati e giudicati”, hanno sentito l’esigenza di evidenziare come “sarebbe utile un po’ di buon senso nelle pubblicazioni che pretendono di sostenere la libertà quando, invece, provocando i musulmani sono soltanto stupidi”.

Un richiamo a vincere con l’approfondimento, il buon senso e la ricerca, la prassi del pressappochismo ispirato al “sentito dire” e al “secondo me” privo di supporto, dietro cui ci si nasconde – in nome della “democrazia” – ma che, in realtà generano nell’opinione pubblica, verso cui il nostro lavoro dovrebbe essere indirizzato, un crescente fenomeno di sospensione della “evidenza dei fatti” dove la “doxa” esiste e sussiste senza “episteme” ne fondamento logico.

Non si tratta di difendere il “pugno” – paventato da papa Francesco – dato a chi “ripetutamente parla male di tua mamma” tanto che, se non vi fosse stato il muro di “prese di posizione per partito preso” contro il santo padre, mi sarebbe piaciuto evidenziargli che, come capo della cristianità e per il nome che si è “imposto” il giorno dell’elezione a Vescovo di Roma, la violenza è violenza e ne genera sempre e immancabilmente di nuova ma che, soprattutto, Gesù – di cui Lui è il vicario -, per se stesso, ha rigettato anche la legittima difesa. E, ancora, avrei voluto dirgli che tutti i guai, per questa nostra martoriata società figlia del pensiero greco-romano-giudaico, sono iniziati proprio dalla giustificazione dell’omicidio (in caso di legittima difesa e di guerra) fatta da Urbano II con il concetto di “guerra santa” in quanto “guerra giusta”.

Al netto di tali considerazioni, però, condannando ancora una volta qualsiasi atto di violenza, mi chiedo: ma davvero deve sempre essere sempre garantito il diritto alla “libera manifestazione del pensiero” (art. 21 Carta Costituzionale) anche quando questo diventa, in nome della propria “opinione”: insulto, denigrazione, calunnia, diffamazione, insinuazione, maldicenza, malignità? E, di seguito, dove (se) deve trovare argine la giusta e legittima manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita, per lasciare il posto al rispetto del pensiero altrui e delle altrui legittime e altrettanto costituzionalmente garantite convinzioni?

Le risposte, come spesso accade in queste nostre “società complesse” sono tutt’altro che semplici e scontate e attengono, come ci ha ricordato Tony Barber, oltre che alla sfera del diritto anche in quella del buon senso.

Se è indubbio, infatti, che una delle maggiori conquiste delle democrazie borghesi sia proprio quella della libertà di pensiero e della sua libera manifestazione, è anche vero che fin dalla sua prima enunciazione (articoli 10 e 11 della “Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino”), nonostante la forte influenza del pensiero volteriano, il legislatore pensò che fosse giusto porre un argine proprio sui due fronti sopra richiamati: da un lato “l’ordine pubblico” e, dall’altro, la possibilità di essere chiamati a rispondere “dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge”. Un modo elegante dell’Assemblea Nazionale post rivoluzionaria per affermare il diritto ad avere tutte le “opinioni” che si vuole purché queste non ledano: il diritto degli altri a fare altrettanto e ad assumersi la paternità di eventuali danni al singolo e alla collettività.

E’ per questo che mi pare strano che sui fatti esecrabili ed esecrati contro i colleghi di “Chalie Hebdo”, in nome della Libertà di espressione, si metta “la matita in mano” a Topolino (copertina che, comunque, ho pubblicato anch’io) salvo, poi, dare sulla voce a papa Francesco che richiama al buon senso e alla responsabilità, foss’anche in un modo che anch’io condivido poco.

Ma, infine, resto colpito da come tale discussione riesca a catalizzare i sentimenti peggiori di una società, provata e segnata da una crisi che è morale prima che economica, da scaricare contro il “sempiterno diverso” in nome del legittimo diritto all’insulto e al dileggio di cui “satira e satiri” dovrebbero godere – come direbbe Totò – “a prescindere”.

Ora, non credo ci voglia un indovino per prevedere il “tono” dei commenti che arriveranno al mio indirizzo dopo questo “post”, è legittimo e fa parte del mestiere. Quello che mi auguro, però, è che cresca la voglia di “mettersi in discussione e dialogare” con chi non la pensa esattamente come noi. In fondo, come diceva il buon, vecchio Gaber: “Libertà… è partecipazione!

 

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