Il presidente del Consiglio Matteo Renzi non lo sa. Magari perché nessuno glielo ha detto sinora. Oppure è al corrente e fa finta di non accorgersene. Ma, secondo l’opinione di alcuni autorevoli studiosi, dal 22 febbraio 2014, giorno del suo insediamento, al 23 gennaio scorso, cioè in soli 335 giorni, l’esecutivo avrebbe violato per ben 27 volte la Costituzione. Nel silenzio generale, naturalmente, senza che nessuno abbia mai mosso un dito, dentro e fuori il Parlamento. E soprattutto dal Colle del Quirinale, dove il presidente della Repubblica dovrebbe vigilare innanzitutto sul rispetto della Carta costituzionale.

DEBOLE COSTITUZIONE – In ballo c’è il rispetto dell’articolo 77 della Costituzione, uno di quelli riportati nella delicatissima sezione dedicata alla “formazione delle leggi”. Recita testualmente che “quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza”, il governo adotta “provvedimenti provvisori con forza di legge”, cioè i famosi decreti, “deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere”. Ebbene, che cosa è successo da quando l’ex sindaco di Firenze si è insediato a palazzo Chigi? Analizzando i dati del ministero per i Rapporti con il Parlamento guidato da Maria Elena Boschi, ilfattoquotidiano.it ha scoperto che i 27 decreti legge (su 75 provvedimenti complessivamente varati) prodotti dal governo Renzi, rispetto alla data di approvazione in Consiglio dei ministri (Cdm) registrano un ritardo medio di trasmissione alle Camere di ben 10 giorni. Tempo che il governo spesso si è preso per inserire nel testo nuove norme, ritoccarle, o mettere a punto l’intero testo, che il Consiglio dei ministri aveva approvato “salvo intese”, ovvero sulla fiducia.

CARTA STRACCIA – Un modo di operare che non ti aspetti da un governo che aveva promesso di fare giustizia di tutti i ritardi governativi negli adempimenti legislativi e che, secondo i costituzionalisti interpellati da ilfattoquotidiano.it, vìola i principi della Carta per due ordini di motivi: in primis, perché non trasmettendo un decreto immediatamente si contraddice la sua stessa natura di “urgenza e straordinarietà”. Secondo, perché spesso i testi vengono approvati dal Consiglio dei ministri  “sotto forma di bozza e poi ritoccati non solo nella forma successivamente”. “Un modo di fare preoccupante, in conflitto con lo spirito e la lettera della Carta costituzionale”, denuncia il costituzionalista Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”. Che non è il solo a lanciare grida d’allarme: “La violazione dell’articolo 77 è evidente, soprattutto quando il ritardo è di decine di giorni”, sottolinea la collega Lorenza Carlassare, professore emerito di diritto costituzionale. Eppure, anche tra Camera e Senato, nessuno sembra preoccuparsene più di tanto. Nonostante i gravi episodi di ritardo che continuano a registrarsi. Qualche perla tra le tante. Ci sono per esempio i casi eclatanti del decreto Emilia, trasmesso alle Camere 24 giorni dopo il suo varo da parte del Consiglio dei ministri, e del decreto Proroga commissari, varato in un primo tempo a marzo dal neonato governo Renzi, tornato poi in un Consiglio dei ministri il mese successivo e quindi arrivato alle Camere a maggio, con 42 giorni di ritardo e una norma completamente riscritta (sull’asse stradale Lioni-Grottaminarda). Fino al caso dei decreti Pa (Pubblica amministrazione) e Competitività, approvati in Cdm in un unico testo e poi ritoccati, spacchettati e trasmessi alle Camere solo 11 giorni dopo. Ma vediamo nel dettaglio tempi e ritardi degli altri provvedimenti del governo Renzi.

MAL DI TESTO – Il segretario del Pd si insedia sloggiando il compagno di partito Enrico Letta e, come primo atto vara il Salva Roma ter (il primo era stato ritirato dallo stesso Letta su monito di Napolitano, il secondo è stato fatto decadere dall’attuale governo appena insediato). Siamo al 28 febbraio 2014. Il testo viene pubblicato in “Gazzetta ufficiale” e trasmesso alla Camera il 6 marzo, ovvero sei giorni dopo. Tempi più lunghi per il decreto Casa del ministro Maurizio Lupi e per il dl Lavoro: entrambi varati dal Consiglio dei ministri del 12 marzo, sono stati pubblicati e trasmessi alle Camere il primo con 16 giorni di ritardo (il 28 marzo) e il secondo dopo 8 giorni (il 20 marzo). Stessa tempistica per il decreto Scuola, varato dal Cdm del 31 marzo e trasmesso al Senato l’8 aprile. Sei giorni ci vogliono lo stesso mese per trasmettere in Parlamento il decreto Irpef, quello sugli 80 euro fortissimamente voluto da Renzi. Sei giorni di braccio di ferro tra Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia (Mef) sulle coperture che avrebbero portato, tra le altre cose, di lì a poco alle dimissioni dell’allora capo dell’ufficio legislativo-economia di via XX settembre, Andrea Simi. La media non cambia per i decreti di primavera: 9 giorni sono necessari per pubblicare e trasmettere alle Camere il decreto Cultura, detto anche “Art bonus” e 4 giorni per il decreto Tasi (poi confluito nel dl Irpef).

ESTATE ROVENTE – Quello che accade a inizio estate, poi, fa storia a sé. Siamo al 13 giugno, il Consiglio dei ministri approva e vara il decreto “Misure urgenti per la semplificazione e per la crescita del Paese”, un testo monstre di circa 100 articoli, stando alle bozze circolate in quei giorni. Ci vogliono però quasi due settimane (11 giorni) perché il testo venga pubblicato in Gazzetta ufficiale e ci andrà in una veste ben diversa rispetto a quella che il Cdm ha visto e approvato. Durante quegli 11 giorni, il testo viene ritoccato e suddiviso in due su richiesta del Quirinale, che solleva più di un dubbio sull’omogeneità del testo. Alla fine il decreto viene spacchettato: da una parte il decreto Pubblica amministrazione e dall’altra il decreto Competitività.

MAGICI RITOCCHI – La prassi consolidata del governo non cambierà da lì in poi, anzi. Sul finire dell’estate i tempi di trasmissione alle Camere dei decreti rispetto al loro varo sembrano anche crescere: si parte con i 7 giorni per il decreto Detenuti e per il primo decreto Ilva (quello poi confluito nel dl Competitività), per passare a 12 giorni per il decreto Proroga missioni e arrivare a ben 14 giorni di attesa per il decreto Stadi-migranti, per il decreto Processo civile e per il decreto Sblocca Italia. Siamo a settembre e il governo inizia a lavorare alla legge di Stabilità che, pur non essendo un decreto, vale la pena di citare come altro esempio di ritardo cronico: varata dal Consiglio dei ministri del 15 ottobre è stata trasmessa al Parlamento il 23 ottobre. Un lasso di tempo in cui la stesura della Finanziaria è stata ritoccata quasi ogni giorno. Stessa musica per il Jobs Act che per arrivare alle Camere ci ha messo ben 22 giorni.

GELIDA MANINA – Il resto è storia recente, fino al Cdm del 24 dicembre che ha visto imperversare sulle prime pagine dei giornali la famosamaninadel decreto legislativo Fiscale (che il premier Renzi si è poi autoattribuita), ma in cui sono stati varati anche il decreto Milleproroghe ( pubblicato sette giorni dopo) e il secondo decreto Ilva, che è arrivato alle Camere con 12 giorni di ritardo. Il 2015 invece sembra aver accelerato i tempi del governo. I primi due decreti dell’anno, il decreto Banche e il decreto Imu agricola, sono arrivati alle Camere velocemente: rispettivamente 4 giorni e 1 giorno dopo il loro varo. Amaro comunque il comento degli studiosi. “La Costituzione – ribadisce la Carlassare – stabilisce e vale la pena ripeterlo che il governo può emanare decreti solo in casi straordinari e li deve inviare alle Camere il giorno stesso. Se così non accade non c’è dubbio che c’è una violazione della Costituzione perché si sconfessa la stessa urgenza del provvedimento”. “Preoccupa anche, per quello che se ne sa – sottolinea invece Azzariti – che in sede di Consiglio dei ministri sempre più spesso si approvano delle “copertine”, cioè un articolato incompleto. E’ per questo che spesso si usa quella formula “salvo intese” che da un lato dovrebbe riguardare profili meramente tecnici, ma che in realtà nasconde il fatto che il contenuto deve essere ancora deciso e verrà deciso dopo il Consiglio dei ministri. Presumibilmente e prevalentemente dalla presidenza del Consiglio o dal presidente e dal ministro competente. E pure questo è preoccupante”. E, naturalmente, contro la Costituzione.

E il governo che dice? Come giustifica questo modo di procedere sui decreti, messo così duramente in discussione da autorevoli costituzionalisti? Abbiamo contattato la presidenza del Consiglio dei ministri per un commento. Al momento senza avere una risposta ufficiale.

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