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‘Nella testa di una jihadista’: in chat sotto copertura per svelare l’uomo dell’Isis

Anna Erelle, giornalista francese, si è finta un’occidentale convertita per entrare in contatto col terrorista islamico Abu Bilel. Un rapporto online che l'ha portata a un passo dall'incontro reale e che ora la fa vivere sotto scorta. La storia in un libro

di F. Q.

Toccata e fuga nell’inferno del terrorismo jihadista. Solo che adesso la donna che ha osato sfidare il radicalismo islamico in armi, fingendosi un’occidentale convertita che vuole combattere gli infedeli, deve vivere nascosta come se indossasse uno chador, sotto scorta, e con una nuova identità per difendersi dalla fatwa che le è stata lanciata dall’Isis. E’ quello che è accaduto tra il marzo e il novembre 2014 alla giornalista francese Anna Erelle, autrice del libro Nella testa di una jihadista, in questi giorni nelle librerie italiane grazie all’editore Tea-Tre60.

Per via di un’innata predisposizione al lavoro d’inchiesta, e come sottolinea lei nelle prime pagine del volume a “un certo interesse per i comportamenti devianti, poco importa l’origine, l’errore che ha portato alla fatale caduta di questi destini mi affascina”, si è ritrovata incastrata in un vischioso e pericolosissimo meccanismo di ricatto mortale proclamato ufficialmente da un importante mujahiddin di origine europea, Abu Bilel, contattato via Facebook. Quella di Anna è la storia di un azzardo professionale, di una coraggiosa sfrontatezza intellettuale, quando attirata da numerosi casi di ragazze che dal Belgio, dall’Olanda e dalla Francia salutano improvvisamente genitori e amici per scappare a fare la guerra santa per lo Stato Islamico, si mette a navigare in rete per scrivere un articolo e scopre l’Eldorado del combattente e del proselitismo jihadista.

“La propaganda online di reclutamento di adolescenti uomini, ma soprattutto donne, per combattere gli infedeli nel califfato di Abu Bakr al-Baghdadi è molto forte”, spiega la scrittrice al fattoquotidiano.it. L’operazione è rapida e diretta: prima su Facebook, poi, come nel caso di Anna, su Skype. Sul web la giovane giornalista francese è Melodie, avatar improvvisato con casa a Tolosa (luogo in cui nel 2012 l’affiliato ad Al-Qaida Mohamed Morah uccise tre bimbi di una scuola ebraica ndr), invece di Parigi dove la donna abita. La scintilla è quel video sul social di Zuckerberg dove il braccio destro del califfo al-Baghdadi mostra l’argenteria da combattimento tra kalashnikov, jeep e bombe a mano. Anna ancora non sa chi ha davanti, ma la curiosità che la spinge a cercare informazioni la porta a contattare quell’Abu Bilel che in neanche mezza giornata comincia a spedire messaggini con emoticon alla fittizia “convertita” francese, e in nemmeno 24 ore chiede già di dialogare vis a vis su Skype.

Chiaro che al di là delle tre moglie che ha già, l’uomo si invaghisce della ragazza: “Subito fin dal primo dialogo tra noi due ha cominciato a raccontare con naturalezza la sua vita quotidiana”, ha spiegato la Erelle. Esaltazione del luogo di battaglia e paradiso per i convertiti occidentali, Abu Bilel promette mari e monti ad Melodie/Anna da uno smartphone ultima generazione da dove riprende sangue rappreso sul selciato, traccia delle ultime battaglie vinte: “Una personalità completamente scissa. Parlava con fierezza di come dava la morte ai nemici (“Il mio lavoro è uccidere persone (…) un lavoro duro mica sono in un villaggio turistico”, è una sua affermazione nel libro ndr) e immediatamente dopo mi faceva domande sul profumo che portavo e sulle marche presenti nei grandi magazzini. Un discorso doppio davvero ipocrita”.

Il tono e gli apprezzamenti che la donna dispensa verso il “diavolo” Bilel nel libro quasi non si contano, altro che sindrome di Stoccolma: il fastidio e la lontananza di pensiero che continua a separarli anche dopo settimane di chat online è palpabile, anche se la farsa tra il capo e la donna sottomessa continua, e il gorgo del giornalismo la fa infine capitolare. Anne decide di accettare la proposta di matrimonio di Abu Bilal e parte alla volta della Siria passando per Amsterdam e poi dalla Turchia; ma al confine con la Siria la giornalista viene scoperta e minacciata: salta la copertura e deve tornare subito in Francia.

L’ultimo capitolo della storia vera è la fatwa contro di lei lanciata da uno dei terroristi della jihad più ricercati al mondo, che non si sa ancora se sia veramente morto in battaglia o ancora vivo: “Vorrei saper trovare una morale a questa storia, ma come si fa a formulare una conclusione, quando non si sa se la storia è finita?. F.D.Roosvelt diceva ‘Se mi chiedessero di classificare le miserie umane, le metterei in quest’ordine: la malattia, la morte, il dubbio. Da otto mesi, quel 5 maggio 2014 rappresenta un eterno inizio”.

Dal diario personale al particolare storico, il libro della Erelle ci ricorda, infine, un paio di fatti da non trascurare: Is e Al-Qaeda non sono di certo formazioni “alleate” e soprattutto se i secondi rimangono ancora nell’ambito dell’organizzazione segreta, i primi, più pratici, moderni e sbrigativi, ricorrono in modo sfacciato davanti al naso dei servizi segreti internazionali al reclutamento sui social network: tra i 45mila combattenti ci sono ufficialmente 1089 reclute soltanto francesi.

Di Davide Turrini

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