Il prezzo del petrolio continua a calare in picchiata. Venerdì le quotazioni del greggio sono arrivate a quota 71 dollari al barile, il livello più basso da maggio 2010. Rispetto ai 115 dollari di giugno il crollo è stato del 30%. Ma, come sempre accade, il conto per l’automobilista alla pompa di benzina non si alleggerirà di molto. Perché in Italia il prezzo della benzina è costituito per il 60% da Iva e accise, per cui il valore della materia prima influisce solo in piccola parte.

Dopo le proteste delle associazioni dei consumatori e gli esposti presentati dal Codacons a 104 procure, comunque, l’Eni ha deciso di limare i prezzi di 1,5 centesimi al litro, sia per la benzina che per il diesel. La verde, in modalità servito, scende così, in base alle rilevazioni del ministero dello Sviluppo, sotto la soglia di 1,7 euro al litro. Ma, stando alle previsioni di Figisc e Anisa, le associazioni di categoria della Confcommercio, c’è ancora spazio per un ulteriore calo di almeno 2 centesimi. Secondo l’Unione petrolifera i prezzi industriali sono tornati ai livelli del 2011, ma i consumatori non ne hanno “un’esatta percezione” a causa della zavorra del fisco.

Sul crollo del prezzo del barile ha influito la decisione dell’Opec di non tagliare le quote di produzione, come avevano proposto Paesi dai conti in bilico come il Venezuela, con l’obiettivo di far tornare il prezzo del greggio alla soglia dei 100 dollari al barile. Il cartello dei paesi produttori di petrolio aveva ricevuto anche le pressioni della Russia (che non ne fa parte): il presidente Vladimir Putin aveva proposto di ridurre di 15 milioni di tonnellate le proprie estrazioni in cambio di un taglio di 70 milioni di tonnellate nella produzione dei paesi dell’organizzazione internazionale.

 

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