The impact of climate change is about total annihilation of our nations.

It is too late to save my islands.

Anote Tong, primo ministro delle isole Kiribati

In questi giorni vari governi hanno annunciato misure contro i cambiamenti climatici.

Obama ha proposto il taglio delle emissioni di Co2 del 30% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005.  Nel mirino le centrali a carbone, che sono quelle dalle emissioni maggiori. Ad alcuni stati è chiesto uno sforzo maggiore, ed in altri un po meno, a causa di diverse economie e numero di centrali a carbone. Per esempio, in West Virginia le emissioni dovranno diminuire del 19%, nello stato di New York del 44%. Questi limiti vanno ad aggiungersi a quelli già esistenti su mercurio, nitrati, solfati, arsenico e particelle fini ma che finora non esistevano per la Co2. Non sono obiettivi particolarmente aggressivi, c’è ampio tempo per implementarle, e si ritiene che il tutto sia realistico. Al Gore ha definito la proposta di Obama “the most important step taken to combat the climate crisis in our country’s history.”

Come sempre, le vuote polemiche sul fatto che il tutto sia “antieconomico”, che distruggerà l’occupazione e che resteremo al freddo e al gelo. I dati ufficiali invece parlano di “motore di crescita” per “l’occupazione verde” e che si risparmieranno circa 90 miliardi di dollari in costi di salute – evitando attacchi di asma e infarti. Si parla anche del declino già in atto delle centrali a carbone negli Usa, mentre l’eolico è triplicato e il solare è decuplicato dal 2009. L’idea quindi è di accelerare queste transizioni e con queste nuove norme di aiutare a riscrivere il paradigma energetico negli Usa.

In Europa si era già deciso a Gennaio del 2014 che entro il 2030, le emissioni di Co2 dovranno diminuire del 40% rispetto ai livelli del 1990.

Alcuni stati vanno avanti come treni da soli. La Danimarca ha deciso di raddoppiare gli obiettivi che si era posta per il 2020: invece che diminuire le emissioni di Co2 del 20% rispetto ai livelli del 1990, le diminuiranno del 40%. Il ministro del clima e dell’energia – si, in Danimarca hanno pure questo! – Rasmus Helveg Petersen dice che è la cosa giusta da fare, visto che hanno l’obiettivo di arrivare a una nazione a energia elettrica e riscaldamento al 100% da rinnovabili entro il 2035 e di essere interamente “fossil free” entro il 2050. 

Piccola parentesi: è un sogno pensare anche in Italia ad avere il ministro del clima e dell’energia assieme? Come dire, e se la Guidi oltre che proporci trivelle a gogò potesse invece guardare più in grande e creare un modello di energia per l’Italia che possa essere intelligente, sostenibile, con obiettivi a lungo termine?  E’ troppo volere questo anche per l’Italia?

In Finlandia invece hanno approvato una nuova legge sul clima dove l’obiettivo è quello di arrivare alla riduzione dell’80% delle emissioni di Co2 entro il 2050. Ogni anno si dovrà riferire in parlamento su eventuali nuove strategie e sui risultati raggiunti. Il programma è a lungo termine ed è codificato in legge per la stabilità di interventi governativi e per dare certezze ad investitori privati. L’ obiettivo è infatti ambizioso e andrà a influenzare le scelte energetiche, la politica industriale e quelle agricole e quindi è molto più grande che l’ambiente in senso stretto.

Il ministro per l’ambiente Ville Niinistö dice che la legge è “super” e che farà della Finlandia un pioniere della lotta ai cambiamenti climatici. Dice infatti che è nell’interesse nazionale tenere sotto controllo i cambiamenti climatici e che il mantenimento di qualsiasi livello di prosperità nel pianeta ne impone la sostenibilità. Dice anche che il dover riferire in parlamento a cadenza periodica farà aumentare il dibattito politico e la coscienza pubblica sul tema.

Secondo gli studi sia danesi che finlandesi, le tecnologie ci sono e i costi sono competitivi.

Anche i governi di Irlanda, Corea del Sud, Messico e Vietnam hanno delle leggi specifiche contro i cambiamenti climatici. 

Ma per alcuni posti è già tardi.

KiribatiKiribati è un magnifico complesso di 33 atolli che sorge nell’Oceano Pacifico. Ci vivono circa 100,000 persone. Come per l’arcipelago Carteret, fra venti o trenta anni sarà tutto interamente ingoiato dal mare. I problemi sono gli stessi di Carteret, acqua salata che si mescola a quella dolce, agricoltura morente, erosione delle coste, mareggiate, scarsità di cibo. L’acqua è già arrivata nelle case e nei villaggi.

Cosa fare? Si pensa a far trasferire la popolazione su possibili città galleggianti detti ‘Lilypad’, come proposti dall’architetto belga Vincent Callebaut o di comprare della terra sulle isole Fiji. Certo, sono soluzioni più o meno attuabili. Ma intervistato da Cnn, il presidente di Kiribati, Anote Tong, ha mestamente concluso che per la sue isole è troppo tardi, qualsiasi siano le azioni che faranno gli altri paesi.

Qui le foto di Kiribati: le isole vere e i futuristici progetti di isole artificiali – belle ma non quelle che ci ha dato madre natura.

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