I film so’ piezz’ e core. Per i Manetti Bros la sentenza cinematografica da sotto il Vesuvio è lapidaria. Esce in sala il 17 aprile 2014 il loro nuovo film, Song ‘e Napule, poliziesco girato interamente a Napoli. Tutto il miglior armamentario anni settanta del cinema di genere – anche se i Manetti amano la blaxploitation -, inseguimenti tra curve e vicoli, scontri a fuoco tra polizia e boss della camorra, ma anche l’alleggerimento comico delle raccomandazioni e furbizie all’italiana, della contaminazione con impercettibili e ironici effetti digitali, dello snobismo progressista della musica colta contro quella più pop dei neomelodici partenopei. Tanto che il soggetto, firmato da Giampaolo Morelli (alias il celebre Ispettore Coliandro), vuole proprio lo smascheramento di un latitante capo camorrista grazie all’infiltrato poliziottino (Alessandro Roja), ‘pianista’ raffinato e raccomandato dal Questore, diventato tastierista nella band del neomelodico Lello Love (lo stesso Morelli), che andrà a suonare al compleanno di una bimba dove il boss è invitato.

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“Negli ultimi anni da Gomorra in avanti si sono raccontate solo le periferie di Napoli, e all’estero la si scambia per Scampia”, spiega al fattoquotidiano.it il romano Marco Manetti, inscindibile binomio alla regia con il fratello Antonio, “quando invece esiste il centro città più bello del mondo dove noi abbiamo girato il film. Una bellezza cartolinesca se vuoi, ma quasi unica nella sua preservazione di forte identità locale, forse paragonabile a Genova o Bari”. E il discorso sui luoghi comuni si allarga proprio al bordone principale di Song ‘e Napule, la musica pop del luogo: “Questi cantanti non si riconoscono nell’etichetta del ‘neomelodico’, perché il fenomeno è più complesso – continua Manetti – In realtà nella musica napoletana c’è dentro di tutto: dall’hip hop, al rock, al soul. Certo è una scena musicale chiusa ai confini Nord di Napoli, ma ha uno star system più completo di quello italiano, fatto di concerti, matrimoni, serenate e di vagonate di cd acquistati. Franco Ricciardi, nel film il boss Scornaienco, è una grande voce soul con radici alla Pino Daniele, che abbiamo usato anche per il brano dei titoli di testa. Spero che questa nuova veste gli serva per affacciarsi fuori da Napoli, lo meriterebbe”.

Song ‘e Napule come tradizione dei Manetti propone innesti di linguaggi affini al cinema tradizionale, l’uso meno nobile di facce e icone ‘alte’ come nella miglior tradizione del cinema di genere (il boss Peppe Servillo, Ciro Petrone da Gomorra, Carlo Buccirosso “è pari a Totò”), l’incursione nel videogame, e uno sceneggiatore che di solito scrive dialoghi per i fumetti: “Abbiamo grande libertà compositiva e non viviamo dello snobismo di un cinema da serie A migliore di tutti gli altri. E poi a noi non piace il cinema italiano. Non lo dico in tono polemico, ma non esco di casa per andare a vedere un film, che so, sull’architetto in crisi esistenziale. La Grande Bellezza, ad esempio, non l’ho visto e a mio fratello non è piaciuto. Ho invece adorato American Hustle e Capitan America, mentre The Avengers m’ha fatto impazzire”.

I Manetti Bros parlano a ragion veduta, vista la diffusione all’estero delle loro opere di certo non neorealiste o intimiste: “I nostri film, ad esempio, vanno meglio sul mercato giapponese. Siamo anche stati avvicinati da Hollywood e stiamo scrivendo una sceneggiatura a otto mani con un’altra coppia di fratelli americani. Sembra però che da anni gli Stati Uniti abbiano comprato il copyright sulla fantasia. Gli spettatori e produttori italiani, invece, vivono in uno strano pudore che li porta a vergognarsi della loro fantasia: fanno e vedono solo film basati su fatti di cronaca o legati alla realtà”. Song ‘e Napule è prodotto dalla Devon Cinematografica.

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