Testamento biologico a due velocità. Sul tema del fine vita il Parlamento va a rilento, si ferma, riparte – quando si accende l’attenzione dell’opinione pubblica – e poi si riferma. E allora Comuni, associazioni e comunità religiose mettono la freccia, pigiano sull’acceleratore e sorpassano il legislatore sui temi etici. Al centro della questione, per l’appunto, sta il testamento biologico – o più precisamente, dichiarazione anticipata di trattamento –, un documento in cui una persona specifica quali cure sanitarie vorrebbe ricevere e quali no, nel caso non fosse più in grado di provvedere a se stessa a causa di malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili.

Sono undici le proposte di legge sul tema depositate in Parlamento e ancora ferme in commissione: sette alla Camera e quattro al Senato. Solo nella legislatura in corso, sono state avanzate cinque proposte, due dal Pd, una dal Movimento 5 Stelle, una dal Partito Socialista e un’iniziativa di legge popolare, sostenuta dal Partito radicale e dall’associazione Luca Coscioni, che introduce anche la pratica dell’eutanasia. Ma, andando a ritroso nel tempo, nei cassetti del Parlamento si trovano altri tre progetti di legge presentati durante il governo Berlusconi e tre durante l’esecutivo guidato da Romano Prodi: tra questi rientra l’iniziativa del deputato Franco Grillini, la più datata, che risale al 26 settembre 2006. Ma per undici casi di inerzia legislativa, ce n’è un dodicesimo per il quale il Parlamento ha dato prova di un attivismo fuori dal comune. Il provvedimento in questione è il cosiddetto ddl Calabrò – dal nome del relatore -, che ha raccolto ben quattordici progetti di legge presentati da destra e sinistra tra 2008 e 2009, durante gli ultimi mesi e gli ultimi giorni di vita di Eluana Englaro. Dopo una prima approvazione e un passaggio alla Camera, il testo è tornato a Palazzo Madama, dove giace intoccato dal novembre 2012.

Due sono i punti contestati dai sostenitori del “diritto di scegliere”: il divieto di sospendere alimentazione e idratazione del paziente e la decisione finale affidata al medico. In particolare, il primo passaggio corrisponde al contenuto del “decreto Englaro”: il governo Berlusconi aveva tentato in extremis di impedire la morte di Eluana, ma il Quirinale si era rifiutato di firmare il provvedimento per non avere superato le “obiezioni di incostituzionalità”. Ma dopo la frenesia dettata dal caso mediatico, il nulla.

E allora, ecco entrare in scena le realtà locali. Sono 124 i Comuni italiani che, secondo i dati raccolti dall’associazione Luca Coscioni, hanno istituito un registro dei testamenti biologici: le sedi comunali possono raccogliere direttamente le dichiarazioni anticipate di trattamento o solamente un documento che attesti l’avvenuta compilazione del testamento biologico, che sarà conservato altrove. In questo elenco figurano ben 21 capoluoghi di provincia, tra cui Milano, Torino, Venezia, Firenze e due municipi di Roma. In decine di altri Comuni italiani sono in atto iniziative per arrivare all’istituzione di un registro, tra cui petizioni e mozioni in consiglio comunale. Al contrario, in altre città, come Verona, Vicenza e Pesaro, il progetto non è andato in porto a causa della contrarietà dei consiglieri o del sindaco stesso. Il primo Comune a istituire un registro dei testamenti biologici, dopo il X Municipio di Roma, è stato Calenzano, in provincia di Firenze: l’iniziativa ha avuto inizio nel luglio 2009, pochi mesi dopo la morte di Eluana Englaro. “In questi anni abbiamo raccolto circa 50 volontà, ma quasi tutte nei primi mesi, quando il dibattito mediatico sul tema era ancora acceso”, spiega Alessio Biagioli, sindaco del paese toscano. “Un registro comunale non è la soluzione migliore, perché non ha valore legale. Abbiamo solo sopperito alla mancanza di una legge di cui si sente la necessità”.

In effetti, a causa dell’assenza di un intervento legislativo, per il medico non sussiste l’obbligo di obbedire al testamento biologico depositato presso il Comune. “Ma questo non significa che non valga nulla”, precisa Marco Cappato, consigliere comunale a Milano per i Radicali e attivista dell’associazione Luca Coscioni. “In caso di contenzioso giudiziario, il testamento biologico può essere portato in giudizio per rafforzare la linea di seguire le volontà della persona”. E ancora, il documento può essere mostrato al medico curante per dimostrare a quali trattamenti sanitari il paziente avrebbe voluto essere sottoposto. “Se Eluana Englaro, invece di avere lasciato una testimonianza orale alla famiglia, avesse compilato un testamento biologico scritto e fosse andata a farlo autenticare in Comune, il processo non avrebbe avuto luogo”, aggiunge Cappato.

Ma i Comuni non sono gli unici a essersi mossi per colmare il vuoto legislativo. Tutta una serie di associazioni, dalla Fondazione Umberto Veronesi a “Il bruco e la farfalla”, hanno pubblicato sui loro siti i moduli per compilare il proprio testamento biologico, con tanto di consigli su come farlo autenticare. E c’è chi si è spinto più in là: l’associazione Luca Coscioni ha raccolto oltre mille dichiarazioni anticipate di trattamento. E in questa direzione si è mossa anche la religione. Non quella cattolica, come è facile intuire. La chiesa valdese di Milano, nel 2009, ha istituito uno sportello per la consulenza sul tema del fine vita e ha istituito un registro dei testamenti biologici. “L’iniziativa è nata sull’onda del caso Englaro, abbiamo compreso le ragioni della famiglia”, spiega Samuele Bernardini, presidente del concistoro di Milano. Più avanti, anche le chiese valdesi e metodiste di altre importanti città italiane, come Torino, Napoli, Venezia e Palermo, hanno seguito questa strada. “Solo a Milano abbiamo raccolto un migliaio di volontà, soprattutto da persone non valdesi. Il nostro servizio è aperto a tutti”.

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