I miei figli conoscono“Bella Ciao”, gliela canto di tanto in tanto con un’aria leggermente meno grave di quella originale. Ma voglio che l’abbiano nelle orecchie. I miei figli sono piccoli, ma ho fiducia che non lo siano mai abbastanza per crescere con quello che ritengo giusto e un canto che ha un così profondo di giustizia è dalla parte giusta. Il giorno di Capodanno li ho portati dalla Giovanna, a Reggio Emilia, in quel mucchietto di case che è Buco del Signore. Lei è Giovanna Quadreri, nome di battaglia “Libertà”. Il giorno in cui li ho portati in piazza per il 25 aprile mi hanno rinfacciato che volevano vedere un partigiano vero, non i monumenti. Così li ho portati dalla Giovanna e li ho fotografati con lei sul suo trattore. Era una staffetta e ancora oggi porta i suoi messaggi, quelli di libertà di allora come oggi. Il diario dalla Palestina di Cecilia è per me molto simile, Cecilia è una staffetta moderna, poteva andarsene in luoghi ameni, ne ha scelto uno amaro e come una staffetta ha portato a destinazione il suo messaggio. (GF)

Giorno 08 Parte Seconda, “Il Miracolo Piccolino”. Hebron

Salutiamo Hashem. Fuori dalla sua casa un bambino israeliano ci riprende con una fotocamera, perché pare che stiamo passando troppo vicini al cortile della ‘sua’ casa. Un soldato ci guarda, immobile. I confini sono una malattia, la condivisione una fobia. Camminiamo nel centro storico di Hebron, passiamo un altro checkpoint, ed eccoci.

Siamo all’inizio di Shuhada Street. Siamo dieci italiani e undici palestinesi. Fuori i passaporti, noi potremmo andare, loro no. Davanti all’assurdità di non poter percorrere tutti insieme a piedi qualche metro di strada perché sui nostri documenti ci sono due scritte diverse, “italiani” e “palestinesi” parliamo con i soldati. Sorridiamo.

“Vogliamo solo fare un giro”.

Chiamano i rinforzi.

“Venite insieme a noi! Andremo da un lato all’altro e basta”.

Arriva una jeep.

“Sembriamo pericolosi? Non ci fermeremo, non parleremo con nessuno”.

Scendono quattro soldati.

Ogni volta che dico ‘soldato’, intendo un ragazzino di vent’anni al massimo, armato dalla testa ai piedi. Perché c’è qualcuno che vuole camminare in una strada del centro, non si sa mai.

Gli italiani sono entrati, a 20 metri stanno i palestinesi, bloccati dai ragazzi in uniforme.

Siamo sospesi.

E poi inizia. Una voce piccola, e poi tante.

“Una mattina

mi son svegliato

oh bella ciao

bella ciao

bella ciao ciao ciao…”

Gli italiani stanno cantando, immobili nella strada. I palestinesi ci salutano con le mani. La conoscono, cantano anche loro. La cantiamo tutta. I soldati sembrano interdetti, non sanno esattamente quale sia la procedura: cosa dice il manuale riguardo a dieci stranieri che cantano in mezzo a Shuhada Street?

“Ok. Vi accompagniamo.”

Per la prima volta in dieci anni, dei palestinesi hanno potuto attraversare la strada dell’apartheid di Hebron. Le macchine dei coloni si fermano, ci guardano increduli, spaventati, chiedono ai soldati cosa ci facciamo lì. Cantiamo e camminiamo. Telefoniamo ad Hashem: “Affacciati alla finestra. Siamo dentro. Siamo a Shuhada Street”.

Sembra una favola. E allora ci vuole una morale. Azzardo:

La rivoluzione non si fa con la violenza, e se davvero il Mondo si mostrasse forte e saldo contro Israele e insieme alla Palestina forse… “Love Wins”.

 

Giorni 09-10 Nablus

Giorni tranquilli. Si dorme con la stufette accesa e le coperte pesanti, si mangiano falafel, si beve tè, su costruiscono Puppets, si fanno le prove per lo spettacolo. Ci scambiamo le culture di resistenza. Noi cantiamo Onadekom, loro cantano…

Giorno 11_Ramalla, Nablus

Il countdown lo farà il deejay, chissà se in arabo o in inglese. Un panino con falafel per la strada è il cenone, ma non è un problema. Discoteca paraoccidentale, la musica è quella di 10 anni fa, ma non è un problema. Ramalla è la città più liberale, sono ammessi alcolici, minigonne e moderati contatti fisici. Sembra un po’ di essere a casa, a Milano, dentro al locale fa troppo caldo, fuori troppo freddo, nei bagni non c’è carta, il cocktail costa un po’ di più della birra, ma non c’era una consumazione inclusa nell’ingresso? Pioggia di spumante a mezzanotte che sui vestiti si aggiunge al sudore e al fumo. Ci addormentiamo sul pullman al rientro, entriamo nel letto mentre il muezzin lancia il suo primo canto del mattino.

Sembrava di essere a casa.

“Allah akbar…”.

No, non sei a casa. Ma non è un problema. Anche se.


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