Di tutte le colpe, umane, politiche e giudiziarie, che si potrebbero imputare a Berlusconi, ce n’è una soltanto che io sento proprio non potrò mai perdonargli.
Ricordo chiaramente il giorno in cui entrò in politica: da subito, molti commentatori ironizzarono sul nome da lui scelto per il suo partito, Forza Italia.

Con un’operazione ruffiana, da quel momento persino un coro da stadio ai mondiali di calcio diventava propaganda politica. Da quel momento nessuno, né chi era con lui, né chi era contro di lui, è stato più libero di inneggiare alla sua patria, perché persino il nome stesso di “Italia” è diventato un marchio, un brand, l’etichetta di una volgare operazione di marketing.
Non l’ho mai trovato giusto, e oggi più che mai mi sembra che l’Italia sia stata violentata per essere assoggettata ai desideri perversi di questo o quell’acquirente. Per carità, che fosse una puttana già Dante lo diceva, ma esistono diversi tipi di prostituzione: quella di Bocca di Rosa, e quella di chi viene assoggettato alle voglie altrui, ad esempio. E per questo secondo tipo non c’è contropartita utile.

All’Italia è stato dato un volto che non è il suo.
Bella cosa la globalizzazione, certo: credo fermamente che verrà il giorno in cui ci riconosceremo tutti figli di una stessa umanità, e la parola non avrà più solo un aspetto tecnologico ma profondamente filosofico.
Di strada, però, ce n’è ancora parecchia da fare. Per ora, ci arrabattiamo nei nostri particolarismi, e la globalizzazione si traduce spesso in uno scimmiottare i modi altrui.
Questo è un male da cui noi italiani siamo particolarmente afflitti. Ciò che è nostro, è brutto e imperfetto: quello che è altrui è da imitare.
L’Europa Unita ci ha letteralmente privati di identità.
Ma io credo che nelle diversità risieda la ricchezza, e nell’accettazione di sé la via del successo.

Io credo che i nostri guai risiedano nel male cronico del paese di non sentirsi adeguato alle Nazioni Unite. Loro, con la loro lunga storia di unità nata dalle fanfare ottocentesche, già Stati organici quando da noi 1000 camicie rosse cercavano di risalire lo stivale scontrandosi in primis contro una popolazione che dell’unità nazionale non sapeva che farsene.
No, l’Italia non è mai stata unita, ora meno che mai, anche se quella farsesca unità la si festeggia in pompa magna.

Ma mi chiedo se questo sia davvero un peccato nero come lo si dipinge.
Perché l’Italia non può essere ciò che è, nelle sue diversità, e deve essere come gli altri? Se accettassimo la nostra natura diversa, potrebbe una forza e smettere di essere una debolezza.
Globalizzazione non vuol dire massificazione e mercificazione, come i venditori e gli imbonitori di telemarketing vorrebbero farci credere. La globalizzazione passa dalla valorizzazione dei particolarismi, che smettono così di essere gretta chiusura in sé per diventare tasselli di un unico puzzle, fili diversi di un medesimo tessuto.

Smettiamo di colpevolizzarci perché non abbiamo avuto Wagner, Shakespeare, Delacroix, cantori di unità nazionali piene di sé e arroganti.
Noi non siamo arroganti: siamo smarriti e confusi perché non vogliamo accettare che la nostra identità si compone di molte anime, di Dante e Petrarca, di Leopardi e Manzoni, di Verga e Pirandello.
La pluralità non è mai stata un reato: se riconosciuta, diventa un’arma esplosiva, perché non ti devi più identificare per forza in questo o quel colore, ma nella dialettica delle parti si può costruire un arcobaleno di speranze diverse.

Accettiamo l’Italia nella sua paradossale divisione: noi siamo molte cose. Sì, siamo anche Berlusconi, ma non solo quello. In Italia ci sono le mafie, la corruzione, il lassismo istituzionale e personale, l’assenteismo, l’abbandono dei beni culturali, tutto vero. Ma ci sono anche le persone per bene, quelle che lavorano con coscienza e determinazione; ci sono quelli che hanno fede e che con ogni mezzo in loro possesso, sia la penna, sia un mattone, sia un computer o sia un trattore, continuano a costruire là dove altri distruggono.
Riprendiamoci il nostro orgoglio di nazione: perché noi siamo una nazione, solo di un tipo diverso rispetto alle altre. Potremmo scoprire di essere anche migliori. Perché no?

Cristina Marziali

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