Lo hanno interrogato “in sede riservata” e i verbali dell’interrogatorio sono stati secretati subito. L’inchiesta sulla trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra si è dunque arricchita di un nuovo pezzo del puzzle. È l’interrogatorio del magistrato Alberto Cisterna, già vice di Pietro Grasso alla Procura nazionale antimafia e poi giudice a Tivoli, dopo l’inchiesta che a Reggio Calabria lo ha visto indagato per corruzione in atti giudiziari.

Oggetto del lungo interrogatorio, i tentativi di resa che sarebbero stati messi in atto da Bernardo Provenzano tra il 2003 e il 2005. Un argomento molto interessante per i pm della procura di Palermo che indagano sul patto sotterraneo sottoscritto da pezzi delle istituzioni con Cosa Nostra. “Ragioniere” della trattativa sarebbe stato proprio Provenzano, la cui protezione e la successiva cattura sarebbe stata gestita da alcuni pezzi delle istituzioni. È per questo che il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene sono saliti su un aereo per andare ad interrogare Cisterna.

L’ex magistrato della Dna era in servizio quando in via Giulia si materializzò l’oscuro faccendiere che voleva trattare la resa di Provenzano in cambio di due milioni di euro e la certezza che per almeno trenta giorni la notizia dell’arresto del boss non fosse divulgata. Era il dicembre 2003, quasi tre anni prima dall’arresto ufficiale di Provenzano, avvenuto poi l’11 aprile del 2006 in un casolare di Montagna dei Cavalli, nei dintorni di Corleone. Il primo a parlare della tentativo di resa di Provenzano fu Pietro Grasso, quando il 14 dicembre del 2011 venne ascoltato dal Csm, proprio nell’ambito del procedimento di trasferimento di Cisterna.

“Quando nell’ottobre del 2005 presi il posto del procuratore Vigna – disse l’attuale presidente del Senato a Palazzo dei Marescialli – mi fu prospettata, da parte dei colleghi, la situazione di un informatore, di un qualcuno che voleva rendere delle dichiarazioni e collaborare per la cattura di Provenzano. In quell’occasione mi si prospettò, da parte della Guardia di Finanza, questo signore che diceva addirittura di avere dei contatti con il latitante Provenzano, il quale si doveva trovare in località naturalmente non precisata, ma comunque nel Lazio. Feci questo colloquio investigativo ma poi nel tempo scoprii che altri due in precedenza erano stati fatti da Vigna e dai sostituti Macrì e Cisterna”.

È proprio per questo motivo i pm palermitani hanno voluto sentire Cisterna: i suoi verbali come detto sono stati secretati, segno che l’ex vice di Grasso abbia rivelato particolari inediti. Per Cisterna è un momento particolare: Nino Lo Giudice, il pentito che lo aveva accusato di essere a disposizione della ‘ndrangheta ha appena ritrattato tutte le accuse prima di fare perdere le sue tracce. Lo Giudice, in un memoriale, fa i nomi di quella “cricca” che lo avrebbe obbligato ad accusare Cisterna, già prosciolto alla fine del 2012. Il pentito punta il dito su Giuseppe Pignatone, già capo della procura di Reggio Calabria e ora a Roma, sul suo aggiunto Michele Prestipino e sull’attuale capo della mobile di Roma Renato Cortese: tutti investigatori che si sono consolidati quando al vertice della procura di Palermo c’era Grasso.

È lo stesso Pignatone a condurre uno dei primi interrogatori di Cisterna, il 17 giugno del 2011. Durante l’interrogatorio Cisterna fa cenno alle “attività inerenti la cattura di Provenzano, e le attività consequenziali, diciamo accessorie”. A quel punto Pignatone, che ha coordinato l’arresto del padrino corleonese, cade dalle nuvole: “Io non so a cosa alluda questo riferimento a Provenzano”. La reazione di Cisterna è glaciale: “Lo vedremo!” esclama.

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